*Achille Baratta
“L’oro di San Berillo” non è un
libro è un quaderno che segue gli insegnamenti di Josè Saramago, Premio Nobel,
scrittore e filosofo, o semplicemente la perifrasi del “L’uomo della sabbia” di
Loris Kepler o la stessa continuazione degli scritti di Capuana e di Brancati,
e dello stesso Sciascia ed è un dramma in due atti.
Che invidia! A Catania col suo
quaderno uno scrittore sussurra alla città, lo fa con discrezione, con amore,
con estrema sensibilità e osa scrivere col cuore di una città che ha mille
misteri; si chiama il quartiere di San Berillo. La prefazione di Pippo Baudo è,
a mio parere, frettolosa e guarda solo l’aspetto più forte delle connotazioni
di questa parte di agglomerato urbano che sembrava urbanisticamente miracolato,
anche se negletto.
Ma ognuno dà quello che è e
quello che ha vissuto.
Ritornare sui proprio passi e
alla propria terra è certamente meritevole.
Ma l’uomo che sussurra ad una
città ancora viva, va sempre oltre e non si ferma alle parole, apre un
dibattito, fa un’azione meritoria di civiltà e di anti-ipocrisia e toglie dei
veli su una città bellissima che ha da sempre mille misteri. Ma lui non pesta i
piedi a nessuno, scrive nel nostro idioma ricalcando una vecchia letteratura
che ci onora e un luogo connesso anche
artisticamente alla città.
La casa editrice è Alga Editore,
il libro viene presentato nel giorno del compleanno di Mimmo, l’autore.
Ma la vera sintesi è nella
prefazione di Pipo Baudo:
“San Berillo ha avuto grande importanza nella mia gioventù catanese. A metà
degli anni ‘50 tutta la città passeggiava riversandosi in via Etnea e, per noi
diciottenni, c’era una deviazione obbligatoria verso il quartiere San Berillo
dove, in case compiacenti e autorizzate, si dava libero e poco costoso sfogo ai
nostri bollenti spiriti.
Erano tante le case chiuse, visitate da maschi di ogni tipo e censo, solo
diversi quanto alle personali capacità economiche. Un intrecciarsi di dialetti
della città e della provincia e tante entraineuse continentali arrivate per
‘spegnere’ il fuoco siciliano.
Improvvisa si sparse una notizia: San Berillo sarebbe stato demolito e
sarebbe sorto un grande quartiere per fare affacciare Catania alla distesa
azzurra del suo mare. Passeggiavo con il compianto Pippo Fava, maestro di
giornalismo e di vita. Ci colpì vedere gli appartamenti spaccati dalle
inesorabili pale meccaniche. Stanze abbattute a metà. Alle residue - carte da parati
erano attaccati specchi ancora sani e lampadari sbrindellati. Al posto della
polvere sentivamo ancora l’odore forte e pesante di profumi e ciprie a buon
mercato.
A Fava venne un’idea geniale. Perché non scrivere un lamento di un
cittadino, sgomento di fronte a quello spettacolo, testimonianza di una
giovinezza sfiorita, di amori conquistati a poche lire? E così, parafrasando
Garçia Lorca, scrivemmo «Lamento in morte di una casa
chiusa».
La rappresentazione ebbe successo anche se le autorità in sala non
gradirono molto l’allusione. Ci riprova ora Domenico Trischitta, riaprendo con
coraggio una dolente ferita della memoria. Intanto il nuovo San Berillo non è
ancora nato. C’è un mega progetto che, purtroppo, non è stato realizzato. Mi
auguro che, rispettando le caratteristiche delle vecchie case ancora esistenti,
Catania abbia finalmente il suo grande balcone sul mare”.
Orazio Torrisi nella sua
presentazione è esaltante, si sente che presenta col cuore di guerriero della
cultura.
Anche il luogo della
presentazione è magico: “il Piccolo Teatro”, una bomboniera piena zeppa di
gente interessante e nello stesso tempo attonita: il quartiere del peccato e
del dolore con le sue vergogne, viene riposto con le immagini del più grande
fotografo che abbiamo in questa parte di Sicilia fascinosa: è Peppino Leone.
Presenta Nino Milazzo, Giovanna Giordano e il padrone di casa.
Come sempre avviene, si parla del
futuro urbanistico da assegnare a questo scrigno d’oro a cui tutti guardano,
compresa la malavita, ma nessuno propone, tutto resta ermeticamente chiuso nei
cassetti che vorrebbero trasformarsi in casseforti del malloppo.
Poi interviene uno dei progettisti
di Zia Lisa e grida: Mai più cemento, trasformiamo senza intervenire su quel
tessuto urbano lasciandolo intatto, murando la parte e le finestre di quei
volumi storici e dipingiamoli dei nostri colori dell’Etna, e poi guardiamo
oltre e utilizziamo i muri versi, o semplicemente piantiamo oleandri in ogni
dove, trasformiamo le finestre e i tetti in aiuole, senza fondi ma solo con le
idee e si offre a redigere un progetto-proposta: San Berillo fiorita.
Parole, fuori ogni politica e
senza tangenti non trovano spazio, ma Mimmo Trischitta ha osato lanciare una
pietra nello stagno, certamente meglio del “Sasso in bocca” di cui abbiamo
testimonianza che vogliamo dimenticare, che si chiama Fava; la sua storia, la
nostra fede.
Allora questo libro-quaderno oltre
ad essere romanzo, filosofia e poesia diventa la bandiera di una città pulita
che sa guardare anche a questa parentesi di malavita organizzata che al di là
dei sogni e delle farfalle è stato lo specchio di una triste realtà fatta di
niente, da gente oppressa e povera che nell’estremo della propria energia
vitale la perdeva e la mortificava, perdendo in modo animalesco, il profumo dei
fiori e la gioia di colori per finire in un ambiente squallido che disonora
l’uomo, da sempre, facendolo diventare il servo dello schiavo collettivo, un
cittadino a cui è stata preclusa ogni altra attività.
Ma San Berillo è una singolarità
storica e urbanistica e noi abbiamo l’obbligo di dissotterrare il suo oro e
venderlo con i fiori, che in definitiva, sono il vero simbolo di questa terra
martoriata ma un’unica che noi vogliamo godere e vendere come corollario a
quello sventramento urbanistico che ancora grida di dolore e di rabbia, altre
pagine nere, che insieme allo sfondo nero delle pietre dell’Etna diventava
mistero invisibile, un quadro di neri che fanno l’amore su uno sfondo nero,
sono le nuove prostitute nigeriane. Ora importiamo pure le fiche.
Ma sullo sfondo la democrazia e
l’informazione in Italia che è una tragedia con molti atti, che quasi sempre
sono giornalieri, settimanali, mensili o, semplicemente, televisivi in tempo
reale dentro le nostre case senza spesa.