sabato 1 ottobre 2016

Articolo pubblicato su MOLESKINE - anno 9 n. 9/10 - Settembre 2016 - LA METROSTRETTO - Lunga è la strada e larga la via. Basteranno i cannoni?



LA METROSTRETTO
Lunga è la strada e larga la via.
Basteranno i cannoni?

Achille Baratta

“Il bersaglio” è un insieme di saggi sulle professioni in cui si è inserito uno scritto di Alberto Mondini dal titolo “L’ingegnere”; erano gli anni Sessanta e si sentiva la necessità di una moderna inchiesta giornalistica sull’evolversi delle vecchie e nuove professioni frugate nella loro realtà e nelle loro prospettive al di fuori di ogni schema convenzionale.
Poi, passarono gli anni ma non si definirono mai gli schemi; forse l’autore intravedeva il tramonto del tecnigrafo che aveva sostituito la riga a T sui tavoli degli ingegneri.
Alberto Mondini va oltre e vede per la prima volta nell’ingegnere, oltre al progettista, il dirigente e scrive: “Poiché non sussiste vera tecnica se non costruita su base di economia obbiettivamente sana – cioè aderente alle richieste del mercato – è ovvio che l’ingegnere ha bisogno di essere indirizzato e sorretto, specialmente nei settori che rivestono carattere applicativo e professionale, non solo dal docente che, nell’ambito degli attuali programmi, può indicare solo vie e concetti fondamentali atti a illuminare la stretta relazione fra produzione ed economia, ma da un complesso di attività fatto di sperimentazione, di indagine e di letteratura capace di offrire allo studio fondamentale quegli indispensabili complementi che formeranno del laureato – e più sollecitamente che sia possibile – un elemento capace di assumere responsabilità economiche”.
Qualcuno dice con arroganza che una sola non manca al progettista-professionista: la noia.
Nell’aprile 2016, con l’editore Nottetempo, Luca Molinari scrive “Le cose che siamo”.
“La casa diventa voce psicanalitica di chi la desidera e di chi la progetta. E le finestre non sono più mediazione tra la forma della città e la residenza, ma riflesso di un’interiorità soggetta a cambiamenti radicali. Le ville bianche di Loos, tra Austria e Cecoslovacchia, con elegante ermetismo rivelano da una parte il sogno di un lontano e assolato Mediterraneo, e dall’altra l’idea che la casa sia il prodotto di un pensiero completamente privato. Gli eleganti volumi ancorati alla terra sono l’immagine più estrema, di una borghesia ormai indifferente alla città, al suo rumore e alla sua folla. Ogni casa è un labirinto della mente, dei ricordi e delle memorie che vi si andranno a sedimentare”.
Luca Molinari è critico e tiene un’interessante rubrica di architettura sul settimanale “L’Espresso”.
Lui scrive, tra l’altro: “Il progettista romano Franco Purini in un lavoro grafico e visionario del 2000 aveva immaginato una città per un milione di persone costituita da un milione di abitazioni. Per ogni casa, un abitante che vi avrebbe prima vissuto, poi l’avrebbe avuta come tomba. Alla fine della città avremmo avuto una monumentale, immensa necropoli. È un’immagine chiara: ognuno di noi è una, casa che non ci abbandona mai e in cui ritirarsi nell’ultimo respiro. Si nasce soli e si muore soli. Prima cresciamo nel ventre materno, vera abitazione-città all’origine della nostra esistenza, poi abbiamo bisogno di una casa nostra, luogo sacro, unico, indiscutibile, che può ampliarsi nel tempo ma che, alla fine, rimarrà sempre e comunque la stanza segreta in cui sarà concesso chiudersi all’ultimo”.
Sì, le case ma chi le progetta? Chi le pensa?
Non si può certamente identificare solo sul costruito o sul costruire, occorre allargare lo sguardo e occuparsi di urbanistica e, soprattutto, del territorio come una fabbrica di eventi, di panorami e di silenzi che devono guidare al mondo; ci sono e voglio essere interconnessi e sorvolati.
All’ingegnere, all’architetto si aggiunge una nota figura: quella dell’ideatore senza scopo di lucro che crede nella propria proposta e si ribella alle barriere della cultura e della politica che non sanno guardare dall’alto.
Al Circolo della Stampa di Milano, con grande eco nazionale, viene presentata “La metropolitana dello Stretto di Messina”: un collegamento a cinquanta metri d’altezza tra la Stazione Marittima di Messina e l’Aeroporto dello Stretto.
L’attraversamento dello Stretto ricalca quello già esistito tra le due sponde e costituisce un unicum mondiale, studiato da Massimo Majowiecki.
L’idea più redditizia al mondo una metropolitana che conurba le due sponde dello Stretto e non solo, è autosufficiente, è diventa la centrale fotovoltaica più grande del Sud.
Il sindaco di Messina è preso da altre mille problemi, compresa la sua sopravvivenza di Sindaco di quella città “No Ponte”.
La sua battaglia è terminata con l’appalto dell’opera e le sue finte di inizio lavori. Ma la verità è più cruda: l’opera e quindi il contratto non aveva copertura economica.
Tutto nel nostro Paese diventa normale; i ministri, a loro insaputa, comprano casa o fanno assumere i loro congiunti.
È meno normale proporre un’idea, i colleghi vogliono sapere i particolari e precedenti e se esistono al mondo soluzioni simili.
Tutto è sotteso da un’ignoranza abissale, che ha varcato lo Stretto ed è già un cittadino del mondo. Niente di nuovo, la storia si ripete. La domanda più semplice è quando si farà?
Loro dimenticano che a Messina il museo è in costruzione da un numero infinito di anni e che il nostro Assessore Regionale al Turismo non riesce ad aprirne almeno un salone. Non è divisibile in lotti, o meglio non ci hanno pensato mai: i lotti funzionali sono contro legge.
A proposito, la metropolitana è realizzabile in piccoli lotti e con la partecipazione di tutti. Il tempo previsto: 18 mesi; la spesa leggermente superiore a quella del contenzioso con l’impresa contraente che lievita ogni giorno e va oltre i 700 miliardi di euro.
Il sindaco, proviene dalla scuola e la ama come sua seconda casa e alla casa volante non ci crede.
Quelli dell’altra sponda dicono che li vogliamo invadere e che loro preferiscono non mescolare i Peloritani con l’Aspromonte.
Eppure i loro piani regolatori redatti da Samonà e Quaroni hanno sentito l’aria della conurbazione invocata dai progettisti.
Ma la vera domanda è: “Chi progetta: l’ingegnere, l’architetto o la politica?”
E la politica da chi è fatta nel nostro Sud, non pensata alla mafia, perché sbagliate con certezza.
Chi propone il nuovo è un visionario, ma il vecchio che ci ha dato? La disoccupazione giovanile è alla soglia di rottura; in Sicilia 700.000 giovani, di entrambi i sessi non studiano né lavorano; sono esperti in astronomia, guardano le stelle nelle notti di luna chiedendosi se durerà e fino a quando?
Renzo Piano nel 1990 per la sua Genova aveva guidato il futuro dei trasporti; si chiama Metrogenova e dichiarava “Porterò la gente in Piazza, per fermarmi dovranno prendermi a cannonate”; ma qua, in Sicilia, ai cannoni suppliamo “a scupetta”.
Nel capo delle arti creative niente di nuovo. Susumo Shingu con la sua vita e le sue opere ne è l’ispiratore.
Ecco la sua vita professionale: Nasce ad Osaka, in Giappone nel ‘60 si laurea a Tokyo, all’University of Arts, ottiene una borsa di Studio dal Governo Italiano, e studia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Del 1962-1966 sono le prime mostre collettive il Italia, Austria e Germania. Torna in Giappone e nel 1967 tiene a Tokyo la prima mostra all’aperto intitolata “Wind structures”.
Viene selezionato per l’Expo Internazionale di Osaka e durante il 1971-1972 è visiting artist all’Università di Harvard. Tiene a New York, al Pepsi-Co, Purchase, una mostra all’aperto intitolata “Wind and Water Sculputures”. Harry N. Abrams, pubblica la prima monografia “Shingu”. Vince in Giappone varie importanti mostre di scultura e nel 1984 tiene al Museo d’Arte Moderna di Hyogo una personale intitolata “Breathing Sculptures” e una personale alla Galleria Civica di Kanagawa nell’86. Vince il Gran Premio di Yokohama e il 18° Gran Premio dell’Arte Giapponese, nel 1987 espone una mostra itinerante all’aperto intitolata “Windcircus” a Brema, Germania; a Barcellona in Spagna e a Lahti in Finlandia. È invitato a Seoul per creare una scultura all’aperto per il Parco Olimpico. Nel 1989 vince il Gran Premio Speciale Henri Moore e tiene una personale a Parigi, all’Arts Center.
Questo è il vero simbolo della professione/idea, a cui dedicherò quella piccola parte di vita che mi resta.