mercoledì 26 aprile 2017
lunedì 10 aprile 2017
Articolo pubblicato su 100NOVE - 6 Aprile 2017 - Taglialegna, una terapia contro la depressione
TAGLIARE E ACCATASTARE
LA LEGNA COME INSEGNAMENTO SOCIALE
Achille
Baratta*
Avete mai visto i
nostri carbonai approntare una catasta di legna? Io ho avuto questa fortuna e
pur essendo un ragazzo ho ammirato questa meraviglia artigianale realizzata con
tronchi di legno assemblato alla perfezione rasentando l’opera d’arte, poi questo insieme di legni
con amorevole armonia veniva rivestito di terriccio e dopo un periodo di tempo
che non conosco diventava carbone per le
nostre cucine, per i nostri focolari trasformandosi in energia e vita.
Ora Lars Mytting, in
Norwegian Wood edito Utet, finito di stampare nel mese di marzo 2016 in uno
stabilimento di Vicenza ci descrive un metodo scandinavo per tagliare,
accatastare e scaldarsi con la legna.
Combinando ciocchi di
diverso spessore e sezioni di ramo l’uomo cerca la sua esistenza e la sua
stessa vita operando – Nell’età matura sulla introduzione del libro si legge: “Riesco ancora a rievocare tutte le
sensazioni del giorno in cui mi resi conto che un fuoco di legna è ben più di
una fonte di calore. Non era una gelida giornata d’inverno, anzi, era fine
aprile. Avevo già montato da un pezzo gli pneumatici estivi sulla Volvo e
ripulito gli sci dalla sciolina di Pasqua.
Eravamo
venuti ad abitare a Elverum appena prima di Natale, e per sopravvivere alla seconda metà di un
inverno non troppo rigido ci bastarono il riscaldatore per il blocco motore
dell’auto e un paio di stufe a ventola. I nostri vicini erano una coppia di
pensionati, brava gente, dell’allegria e laboriosa generazione del dopoguerra.
Il marito, Ottar, rimase chiuso in casa fino al disgelo per via di una malattia
ai polmoni.
In
quel giorno di primavera, mentre spirava una leggera brezza e l’acqua di
fusione intorbidava i fossi, l’inverno che ci eravamo lasciati alle spalle era l’ultimo dei miei pensieri.
Fu
allora che arrivò un trattore con un rimorchio, che si fermò ed entrò in
retromarcia nel vialetto dei vicini. Il motore aumentò i giri, il rimorchio
s’inclinò e rovesciò nel cortile un enorme carico di legno di betulla.
Enorme?
Altroché: era talmente tanta roba da lasciare una depressione nel terreno”.
Io ho sofferto di
depressioni e qui ci viene proposto un antidoto ecco perché il libro ha avuto
successo; è l’antidoto al nostro tempo del non fare, dell’invecchiare senza
produrre, senza toccare. In Toscana nel periodo del mio male oscuro, incontrai
una vecchia signora tedesca, che viveva da sola e aveva sofferto di questo
malessere, che ferma il tuo cervello un tema da cui non ti puoi liberare, aveva dell’argilla, in
pasta, e disse lavorala, quella fu la prima volta che il mio male mi ha
abbandonato, le mie energie si trasformarono in un manufatto che gioiosamente
mostrava che la vita ancora c’era, che
la potevo ancora vivere fuori dal gelo di quel male che mi attanagliava che
Bertò chiamò il male oscuro.
L’autore ci parla della
betulla, da noi la quercia e riflette: “Per
millenni, in Scandinavia, la legna da ardere ha avuto un’importanza capitale:
già all’alba dei tempi la si spaccava e la si metteva a essiccare in vista
dell’inverno seguente. Basti pensare che la parola con cui la si chiama in
norvegese, in svedese e in danese, ved, è quasi identica al termine con cui gli
antichi nordici indicavano l’albero við. Per noi, il bosco è fonte di riscaldamento.
Agli albori della storia ci si radunava intorno a un falò, e in seguito intorno
ai focolari, il cui fumo usciva da un buco nel tetto o nella tenda. La lingua
norvegese ha molte antiche locuzioni legate al fuoco, per esempio, «far fuoco
per la cornacchia», che vuol dire “sprecare, sciupare qualcosa”.
Inutile dire che la
legna è stata importantissima per tutti i popoli, ma non basta, vista così è
l’errore che mai dopo questo libro non
possiamo più commettere.
Noi ci siamo fermati
alla preistoria ma i popoli evoluti crescono.
“Nonostante tutti i pregi dell’accetta, bisogna essere asceti – o molto
romantici – per non riconoscere che l’invenzione dello spaccalegna idraulico è
una delle meraviglie del nostro tempo. In Norvegia, questa macchina compatta
viene venduta in massa, e non è un caso: con la semplice pressione di un tasto,
fornisce almeno quattro tonnellate di spinta controllata e regolare, in grado
di vincere anche il legno più tenace,
quello che non cede all’impatto di un’accetta. L’efficacia è evidente
soprattutto con i ciocchi molto nodosi o molti asciutti. Gli spaccalegna
idraulici più diffusi accettano ciocchi della lunghezza massima di 37 cm oppure
di 52 cm. La maggiore differenza fra un modello e l’altro sta nella velocità soprattutto nel rientro
del pistone. I più economici lavorano lenti. Quelli più costosi, di solito,
permettono di regolare la corsa del pistone, con conseguente risparmio di tempo”.
Ma il vero tema è il
fuoco e la bellezza dell’inverno, mi viene da pensare alla Nostra Etna, alla
mia Floresta o a Cesarò. Ecco come l’autore lega questi eventi al significato
d’essere uomo.
“Eccola, finalmente, la «bella stagione fredda», come cantava Joachim
Nielsen, All’incirca a fine ottobre, arriva una giornata in cui la stufa
elettrica sta costantemente accesa eppure la casa è sempre freddina, e la
manopola del riscaldamento dell’auto è
sempre sul rosso. Ecco, quello è il momento di andare in legnaia e dare inizio
alla convivenza con l’inverno.
E
subito dopo Natale arriva il momento della verità: «Basterà?». Già, perché ci
si può far perdonare la tircheria nel regalo di cresima dei figli, o un ritardo
nell’ordinazione dei nuovi mobili da giardino, o perfino il fatto di spendere i
soldi delle vacanze per costruirsi un nuovo garage: ma non una provvista
insufficiente di legna. Per l’uomo che lascia la famiglia al freddo, non c’è
pietà”.
Poi l’autore chiude con
un po’ di numeri, sono queste la sintesi di una serie di riflessioni, ma non in
percentuale i numeri sono per depressi e noi preferiamo rivivere e vivere
convinti che i nostri politici che giurano la verità sappiamo il suo vero
significato che non può prescindere dagli alberi, dalla natura e dall’umano che
asserisce che le bugie hanno le gambe corte.
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