venerdì 9 dicembre 2016

Articolo pubblicato su 100NOVE - 8 Dicembre 2016 - 'Ndrangheta e classi dirigenti - Storie choc di Gretteri e Nicaso

Articolo pubblicato su 100NOVE - 8 Dicembre 2016 -  'Ndrangheta e classi dirigenti  -  Storie choc di Gretteri e Nicaso 



LA ‘NDRANGHETA E LE MAFIE CLASSE DIRIGENTE CHE NON VOGLIAMO NÉ COME PADRINI NÉ COME PADRONI.
Un grido d’allarme di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso 
Achille Baratta

Non mi sono mai sentito così ignorante. È una situazione di stallo dover stare per anni a sentirti erudito e, poi, in un secondo tempo ti accorgi che tutte le tue certezze si traducono in una parola sola: analfabetismo.
Certamente non si possono sapere tutte le branche del sapere e dell’informazione, ma gli argomenti fondanti di una società, come la nostra, non possono sconoscersi.
Che l’Italia sia attanagliata dalle mafie è, purtroppo, evidente a tutti, ma Piero Grasso aveva scritto “La mafia invisibile” e Sciascia l’aveva romanzata anche nel suo realismo;ma come scrive Raffaele Carcano nel blog UAAR di “MicroMega” (30 aprile 2014):
«Che l’Italia difetti di civismo è evidente a tutti: siamo la patria del “familismo amorale”, secondo la definizione che tra mille polemiche e poche confutazioni coniò Edward Banfield descrivendo un paesino del sud (peraltro assolutamente cattolico). Ed è innegabile che sia la fede cattolica a riempire spesso tale vuoto. L’irrazionale del resto riempie sempre un vuoto: esiste proprio per questo. Ma è discutibile, molto discutibile che la religione svolga un ruolo di supplenza. In realtà è vero il contrario: oltre la religione non c’è alcun vuoto, c’è invece proprio il civismo. Perché è il civismo che costituisce il supplente o, meglio ancora, il reale sostituto della religione: il civismo segue cronologicamente la religione e ne ha rimpiazzato le funzioni sociali. La religione è infatti nata quale quadro ideologico imposto a tutti all’interno di una società tribale, e non è stata poi in grado di adattarsi a società plurali. Il civismo, la laicità e la democrazia sono valori che sono emersi a causa dell’incapacità, costitutiva delle dottrine religiose di dare un quadro valoriale comune all’intera popolazione. È in qualche modo inevitabile: una parte della società difficilmente può riuscire a forgiare i comportamenti virtuosi di tutti coloro che ne fanno parte».
Ma per parlare di civismo sociale e politico occorre conoscere le mafie e la loro storia.
Finalmente uno squarcio di verità ci viene dal libro edito in questi giorni da Mondadori, scritto da chi – ogni giorno – sfida le forze occulte e meno occulte che si chiama “’ndrangheta”, è un giudice di Palmi, in Calabria, che ci racconta come fin dalla Unità d’Italia, anche naturalmente prima, la malavita organizzata è stata l’ombra nera della politica; con lui scrive Antonio Nicaso, storico della organizzazione criminale, il loro volume “Padrini e padroni” è stato stampato nel Trentino su carta da fonti gestite in maniera responsabile. Certamente, personalmente avrei preferito che fosse stampato in Calabria, ma i percorsi editoriali sono quelli e se vuoi dare voce ai tuoi sentimenti di dovere devi attaccarti alla tromba che suona più forte.
Il libro racconta la storia e le storie che non avevo mai letto:
«Nella notte tra il 15 e il 16 giugno del 1869 a Firenze, in via dell’Amorino, a pochi passi dalla stazione di Santa Maria Novella, un uomo viene pugnalato. Il ferito non è un uomo qualunque. Si chiama Cristiano Lobbia, maggiore dell’esercito, ex garibaldino, eletto deputato nel collegio di Thiene-Asiago, nella lista del Partito liberale.
La notizia dell’agguato finisce sulle prime pagine di tutti i giornali e manifestazioni di solidariètà vengono organizzate in molte città italiane. Quella di Milano si conclude con gravi incidenti, mentre in Parlamento infuria la polemica. “Se il Governo in questa circostanza non usasse il rigore, l’energia e la speditezza necessaria per arrivare allo scorrimento della trama scellerata di cui fu vittima l’onorevole Lobbia, sapete che cosa ne avverrebbe?” si chiede, tra gli altri, il parlamentare calabrese Luigi Miceli durante la seduta. “Avverrebbe che il pugnale che non ha ucciso l’onorevole Lobbia avrebbe ucciso la coscienza del Paese”.
Tutto era qualche mese prima, quando il governo, guidato dal generale Federico Menabrea, aveva deciso di cedere per vent’anni il monopolio dei tabacchi a faccendieri legali al Credito Mobiliare, in cambio di un’anticipazione di cassa di 10 milioni di lire: meno della metà di quelli offerti – senza accordi capestro – da stimati finanzieri parigini e londinesi. La convenzione, firmata con lo scopo di risanare le casse dello Stato, svuotate dalle spese militari per le guerre d’indipendenza, aveva immediatamente suscitato molti sospetti. Si era vociferato che per favorirla fossero stati distribuiti diversi milioni – “zuccherini” – “dei quali sei al re e due [da dividersi] tra sessanta deputati”. Sollevando in Parlamento due grossi plichi con cinque sigilli rossi, il maggiore Lobbia aveva dichiarato di possedere “dichiarazioni di testimoni, superiori a qualsiasi eccezione a carico di un deputato nostro collega”».
Naturalmente, poi, il maggiore Lobbia viene incriminato e “Quando gli restituiscono l’onore – come scrive Gian Antonio Stella – è un uomo finito”.
In quegli anni sembra che tutto venga girato in un film in retrospettiva:
«“Fazzoletto annodato al collo, solini piegati, cappellino tondo sotto le cui falde si vede il ciuffo dei bravi”, il calzone a campana, cioè stretto alle gambe e cadente largo sulle scarpe, i camorristi reggini fanno capo a Francesco De Stefano di Giorgio e a Paolo Panzera di Filippo, entrambi originari di Sbarre-Spirito Santo.
De Stefano non è un “guappo” qua1unque. Droghiere, è uno dei “principali sospetti in fatto di furti, di grassazioni, di contrabbando di merci e di smaltimento di biglietti falsi della Banca”. Privato del porto d’armi, nel 1872 verrà ammonito come “maffioso e camorrista” e nel 1880 il suo indirizzo verrà rinvenuto, tra alcune carte sequestrate all’anarchico-rivoluzionario internazionalista Andrea Costa e alla sua compagna Anna Kuliscioff.
L’organizzazione criminale, già segnalata nel 1861 al ministro dell’interno dal prefetto Raffaele Cassito, per il “modo deplorevole” con cui infesta la città di Reggio Calabria, è conosciuta negli ambienti investigativi come “setta degli accoltellatori”, comprendente anche malavitosi messinesi e in grado di dirimere questioni private e grane elettorali. Si addestrano all’uso del coltello e praticano la “tirata”, una sorta di duello rusticano, simile a quello descritto da Marc Monnier nella sua inchiesta del 1862 sulla camorra napoletana.
Nelle elezioni del 1869, gli “accoltellatori” di De Stefano, denominato “gran bastone”, arrivano a intimidire politici e professionisti, assumendo atteggiamenti minacciosi davanti ai seggi e rendendosi protagonisti di brogli elettorali, tanto da costringere il prefetto Achille Serpieri a sciogliere il Consiglio comunale appena eletto».
La motivazione “schede false”, quelle schede false hanno risonanza in campo nazionale. Ma non basta; anche le Americhe ne sono condizionate e oggi che cosa succede e succederà?
«A Reggio Calabria Luigi De Blasio viene eletto sindaco della città. A Bagnara si conferma Francesco Saverio Vollaro. Tornano in Parlamento anche Luigi Miceli, Giovanni Nicotera, Achille Fazzari, Alfonso Lucifero e Pietro Toscano. Su 2.420.327 elettori votano 1.415.801, il 58,5 per cento degli aventi diritto. Entrano in Parlamento 292 deputati ministeriali, 25 della sinistra dissidente, 145 pentarchici, 44 radicali. È la legislatura che segna il passaggio dai governi Depretis a quelli guidati dal siciliano Francesco Crispi, difensore spietato dei vecchi assetti proprietari e produttivi del Mezzogiorno.
Niente avviene al di fuori del controllo della ‘ndrangheta, neanche oltreoceano: alloggio, lavoro, apertura di piccoli commerci. “Appena arrivati” scrive il “Corriere della Sera” in una corrispondenza da New York, “cascano in mano della camorra o della mafia, secondo il luogo di loro provenienza. Coteste due arpie del nostro disgraziato paese; qui fioriscono meglio che in Italia, perché qui si raccolgono i soggetti peggiori fra i caporioni, quelli che, se fossero in Italia, dovrebbero stare in prigione a scontare qualche condanna”. Una malapratica che persiste nel tempo. Ancora oggi i più spietati caporali nello sfruttamento della manodopera extracomunitaria in Calabria sono legati alla ‘ndrangheta.
Le cose non cambiano neanche con l’arrivo del nuovo secolo che sì apre con due omicidi eccellenti, quelli del re Umberto I e del presidente degli Stati Uniti, William McKinley, entrambi uccisi per mano di anarchici. Cresce il malcontento popolare contro l’aumento del prezzo del pane e il pagamento della fondiaria o del focatico. In Calabria c’è chi protesta anche per il mancato ampliamento dell’elenco dei poveri che dà accesso all’assistenza medica gratuita. Nelle numerose rivolte popolari, tantissimi contadini, alcuni anche minorenni, muoiono sotto i colpi dei moschetti scaricati sulla folla dai reali carabinieri».
La storia è sempre quella: violenza e sottrazione di atti nei tribunali, non è un fatto solo di Calabria o di Stretto di Messina, ma ancora le cronache registrano l’inverosimile.
«Passano 126 anni dalla vicenda degli “accoltellatori” di Reggio Calabria e la ‘ndrangheta riproduce gli stessi modelli in Val di Susa, in Piemonte, al confine con la Francia, dove viene sciolto il Consiglio comunale di Bardonecchia. È una decisione senza precedenti, la prima nel Nord dall’entrata in vigore nel 1991 della legge che consente l’azzeramento dei Consigli comunali per infiltrazioni mafiose.
“La cattiva fama che la cittadina dell’Alta Valle di Susa si porta dietro da oltre un ventennio, tuttavia, non è una novità, sebbene in quei giorni di primavera del ‘95 a Bardonecchia si cerchi di minimizzare e si finga perfino stupore per il provvedimento adottato dal Quirinale” scrive Massimo Novelli su “la Repubblica”.
Nel 1995 è ancora una volta lo stupore a fare da sfondo a una vicenda che ruota attorno a una serie di appalti per la costruzione di case e alberghi a Campo Smith, una zona donata al comune di Bardonecchia al volgere del secolo, con l’esplicita clausola di destinazione a parco pubblico e per un tempo indefinito.
Il nome è legato all’impresa dei due -fratelli norvegesi, Harald e Trigwe Smith, che nel 1909 avevano battuto il record mondiale dal trampolino con un salto di 44 metri proprio a Bardonecchia, già allora apprezzata località turistica, frequentata anche dal presidente del Consiglio dei ministri del tempo, Giovanni Giolitti.
Ceduta a un prezzo di gran lunga inferiore rispetto al valore di mercato, la zona Smith, negli anni Novanta, viene trasformata in zona residenziale. A seguito di un’inchiesta, vengono arrestati il sindaco e alcuni funzionari comunali con l’accusa di speculazione edilizia, varianti ingiustificate al piano regolatore generale e vendita sotto-costo di terreni. Dopo l’arresto, per manifestare solidarietà al sindaco e ai burocrati finiti in manette, scendono in piazza uomini di Chiesa ed esponenti politici di destra e di sinistra. Al processo di appello, amministratori e funzionari comunali vengono prosciolti e in parte risarciti per l’entrata in vigore di una nuova legge che modifica i criteri della valutazione dei terreni e che di fatto porta a sottostimarli.
Nel decreto di scioglimento, del Consiglio comunale di Bardonecchia nel 1995, il ministro dell’interno Antonio Brancaccio segnala l’esistenza di “un vero e proprio comitato di affari” che, soprattutto in materia edilizia e urbanistica, si mostra capace di influenzare le scelte e le attività degli organi del comune.
Molti fingono di stupirsi. Ma dopo lo scioglimento del Consiglio comunale, in città cambia poco o nulla. Nelle elezioni del 1996 la lista a sostegno del sindaco che guidava il Consiglio comunale sciolto per mafia ottiene il 70 per cento dei voti, dopo aver, incentrato la campagna elettorale sul tema della “continuità” e potendo contare sull’appoggio sia del Partito democratico, a sinistra, sia dei partiti di destra. Quattro dei nuovi eletti, tra cui il nuovo sindaco, facevano parte del Consiglio comunale sciolto per infiltrazione mafiosa».
Ma non è finita: gli americani tornano in Calabria e dettano legge in occasione delle elezioni amministrative del 1908; ecco il testo di un esposto inviato al Prefetto:
«L’amministrazione [comunale] presentendo la sua caduta non lascia mezzo alcuno intentato per conservarsi al potere, e quindi sguinzagliò nella lotta gli elementi peggiori dei bassi fondi sociali, malavita, mano nera di New York reduci dalle patrie galere, ed il compagno del bandito Musolino, Jatì Giovanni […] Questi tutti fanno capo a Filastò Gaetano, assessore, zio di Musolino e padre di un grave pregiudicato Filastò Francesco, troppo noto alla pubblica sicurezza. Tutto ciò per farsi un’idea che gente è sul terreno elettorale. L’amministrazione sa che non può vincere sul terreno legale e quindi tenta cercare disordini ed arbitrii per riuscire nell’intento. E per meglio ricamare il piano prestabilito ha scelto per sala elettorale, non quella del comune, ma un basso di casa Filastò, cioè del capo-partito Fava Stefano. Da dove con posizione privilegiata, si possono dai sullodati elementi provocare ogni sorta di provocazioni ed arbitrii con danno enorme agli avversari che resterebbero allo scoperto da questa disonesta strategia, preparata con arte a comprimere la volontà del corpo elettorale.
Nella denuncia, il notaio Fava fa anche riferimento all’uso dell’acqua irrigua concessa strumentalmente per “ragioni elettorali”, cioè con lo scopo di ottenere consensi».
Nel periodo fascista una amnistia del 1932 vanifica quel poco che si era fatto, nel discorso dell’Ascensione il Duce sulla Calabria e la malavita calabrese non fa neanche riferimento.
Poi gli anni e gli uomini passano e dopo il golpe Borghese, il clan De Stefano:
«Dopo il tentato golpe Borghese, il clan De Stefano e i suoi alleati incrociano la rivolta di Reggio che segna un momento decisivo del patto politico-affaristico-mafioso. Uno spazio opaco tra legale e illegale, fatto di collusioni e complicità. Si infiltrano tra le barricate, partecipano agli scontri con le forze dell’ordine e alimentano la strategia della tensione, come racconta Giacomo Lauro, ex boss di Pellaro. “Sono stato io a fornire la carica di tritolo utilizzata per far deragliare il direttissimo Palermo-Torino, all’altezza della stazione di Gioia Tauro” dichiara molti anni dopo ai magistrati. In quell’occasione, perdono la vita sei persone; altre sessanta rimangono ferite».
Per sedare la rivolta il “Pacchetto Colombo” prende il nome dell’allora Presidente dei Ministri, ma è una vera e propria trattativa con elargizioni finanziarie di potere togliendo a Reggio Calabria la propria egemonia.
Il 12 luglio 1967 una truffa di alcune decine di milioni al Banco di Napoli: nessuna meraviglia; poi in Sicilia si sono mangiati la Cassa di Risparmio per le province siciliane.
Non solo Calabria, Roma e Canadà, ma anche Germania:
«Ma la vicenda che porta la ‘ndrangheta alla ribalta nazionale e internazionale è la strage di Duisburg, a Ferragosto del 2007. In Germania, quel giorno, vengono assassinate sei persone nell’ambito di una faida che da anni insanguina San Luca. Dietro motivi apparentemente riconducibili a rivalità territoriali in Calabria ci sono gli interessi legati ai grandi traffici di droga e agli investimenti in Germania. La notizia finisce sulle prime pagine dei quotidiani tedeschi e italiani, ma anche americani, australiani e canadesi. Il “Los Angeles Times” definisce la ‘ndrangheta la regina del narcotraffico e il “The Guardian” una mafia ancora più potente di Cosa nostra.
È troppo per fare ancora finta di non vederla, lasciando l’impari lotta nelle mani di pochi magistrati che si affannano a chiedere riforme normative, ma anche adeguamenti degli organici».
Poi la faccenda Di Girolamo, senatore della nostra Repubblica e, anche, stranamente condannato per riciclaggio di due miliardi di euro.
Poi, facendo una parentesi fuori dal libro, penso alle processioni e ai funerali con i fiocchi e inorridisco.
Così come gli squarci di Fontana, questi eventi storici e documentati mi turbano e mi fanno diventare incredulo nella mia ignoranza.
Un Paese turbato profondamente, dove il sottile filo della corruzione ancora non viene percepito piano ma è il filo conduttore non solo del libro ma di quella realtà di cui probabilmente non ci libereremo mai, restando come scriveva Italo Calvino, l’onestà nel Paese dei corrotti, e io aggiungo: vorremo rubare nella città dei ladri e ci illudiamo di parlare di civismo, dove la violenza della politica stringe la mano insanguinata degli “accoltellatori” con la dinamite in digitale mondiale, in tempo reale, sono loro i primi veri autori della globalizzazione senza frontiere.
Politicamente parlando: chi resta fuori è un cornuto e, come tale, non è credibile né votabile. Io voto NO. Non voglio morire suicida della mia libertà di voto.








giovedì 8 dicembre 2016

L'aiula data in gestione gratuita dal Comune di Messina - Viale Annunziata

Da soli non si fa niente.
Una aiula vicino alla rotatoria all'angolo tra Viale Annunziata e viale della Libertà di fronte al Museo che aprirà domani, 09.12.2016, un'espressione di collaborazione tra l'ingegnere Achille Baratta e l'associazione Agorà - Circolo Richeativo. Questo conferma che con la partecipazione dei cittadini la città si può fare più bella senza incidere sul bilancio comunale, rafforzando la convinzione che la città è degli utenti e non dei dirigenti o dei politici che li guidano nel labirinto del nulla.







giovedì 17 novembre 2016

Articolo pubblicato su 100NOVE - ANNO n. II - NUMERO 43 - 17 Novembre 2016 - L’ITALIA CIVILE E L’OBESITÀ

L’ITALIA CIVILE E L’OBESITÀ

Achille Baratta



“Numerosi studi, in particolare quelli più recenti, hanno dimostrato che le persone sovrappeso e obese, prese nel loro insieme, non presentano disturbi psico­patologici maggiori significativamente più frequenti né più gravi né tipici rispetto agli individui di peso normale. Tuttavia il pesante stigma sociale che colpisce l’obesità, l’orientamento lipofobo della società contemporanea che esalta la magrezza e disprezza il grasso non è senza conseguenze, soprattutto per alcuni soggetti. Come hanno suggerito da tempo Friedman e Brownell, non dovremmo più cercare se le persone in eccesso di peso presentino di­sturbi psichici più spesso di quelle normopeso; ma piuttosto provare a capire quali soggetti, nella vastissima ed eterogenea popolazione sovrappeso/obesa, sono più esposti a vivere male la loro condizione morfologica e, quindi, sono più vulnerabili sul piano psicopatologico. È un orientamento della ricerca indicato dall’espressione inglese «risk-factor approach», coerente con un principio generale, «fil rouge» del nostro libro: il termine «obesità», per il criterio con cui è definito, copre una campo di fenomeni molto eterogenei. Tanto più nell’area degli aspetti psicosociali”.
Il “nostro libro” è quello di Ottavio Bosello e Massimo Cuzzolaro dal titolo “Obesità”, edito da “il Mulino”, stampato su carta Munken Print White di Arctic Paper, una riflessione questa che riguarda i rapporti tra obesità e rapporti psichici. Tutto gira intorno ad un interrogativo:
“L’obesità è una malattia? più sì che no; certo è che all’accumulo adiposo si associano spesso patologie somatiche, menomazioni funzionali e difficoltà psico-sociali; la speranza di vita tende a ridursi e la sua qualità a peggiorare, anche a causa dello stigma che incombe sulle persone grasse. In questo libro si affrontano tutti i problemi connessi all’obesità, dalle cause al perché della sua diffusione, dalle attuali possibilità delle cure mediche alla spinosa questione della chirurgia bariatrica, fino alle controversie intorno ai programmi di prevenzione”.
Ottavio Bosello ha insegnato Medicina interna nella Università di Verona, Massimo Cuzzolaro, Psichiatria e Psicologia Clinica alla Sapienza di Roma.
Ma il loro scritto, su un delicatissimo tema sociale, che dall’America ora passa a noi europei è il frutto di una ricerca  capillare che è esposta nelle note del capitolo terzo.
In questo periodo di crisi economica, parlare degli antistecchini e della formosità esagerata è un momento di riflessione importante per i suoi aspetti sociali. Al di là della interpretazione metafisica e prettamente professionale l’attenzione viene rivolta verso l’individuo perché dopo l’analisi viene la cura: quando il fondo dell’abisso è stato toccato si ricomincia a salire.
Tra le altre righe si legge lo sforzo degli autori di andare oltre in tre direzioni canoniche della esigenza profonda di liberazione, della libertà dal bisogno, della libertà della diseguaglianza dei punti di partenza, della libertà dal lavoro digitalizzato, e che pur partendo dal bisogno fondamentale del vivere si protrae nel bisogno umano che oscilla tra amicizia e speranza.
Con queste fondamentali illuminazioni gli autori dibattono il problema dividendolo per capitoli il cui ordine non è casuale: una pandemia contemporanea; geni e peso corporeo; tra malattia e fattore di rischio, tra soma e psiche; le cure attuali e i loro limiti, costi dell’obesità e tentativi di prevenzione e, infine, una riflessione col legame con una malattia diabolica come il diabete, ecco quello che scrivono:
“Volgiamo ora l’attenzione al diabete, in particolare al tipo 2, responsabile di oltre il 90%. di tutti i casi di dia­bete e strettamente collegato all’obesità.
Negli Stati Uniti i malati di diabete, adulti e bambini, sono quasi 26 milioni, l’8,3 % della popolazione. Le per­sone giudicate secondo i parametri attuali in stato di pre­diabete sono 79 milioni. Tra gli adolescenti, la prevalenza del diabete, in particolare del diabete di tipo 2 legato all’obesità, è salita dal 9% nel 2000 al 25% nel 2008.
Nèl 2030 in Europa, una persona adulta su dieci sarà malata di diabete secondo le proiezioni dell’International Diabetes Federation. Per quanto riguarda l’Italia, dati re­centi e accurati relativi agli anni 2000-2011 sono stati diffusi on line dall’ISTAT attraverso il documento «Il diabete in Ita­lia». Riassumiamo sinteticamente qualche dato indicativo.
Tra il 2000 e il 2011 il numero dei malati di diabete nel nostro paese è salito di circa 800 mila unità. Il tasso standardizzato di prevalenza per 100 persone è salito da 3,9 a 4,6. Le tre cause principali di aumento sono state, con ogni probabilità, l’obesità, la sedentarietà e l’invec­chiamento della popolazione.
Come risultato, nel 2011 quasi 3 milioni di italiani hanno dichiarato di essere affetti dal diabete. Dal punto di vista della distribuzione geografica, i valori più elevati riguardano il Sud con circa 900 mila casi. Quanto al sesso, il diabete è più diffuso fra i maschi, almeno fino ai 74 anni. La prevalenza è maggiore nelle classi socioeconomiche più basse, dove sono anche più diffusi i maggiori fat­tori di rischio: obesità e inattività fisica.
La diffusione (prevalenza) aumenta con l’età: su 100 diabetici 80 hanno più di 65 anni e oltre i 75 anni almeno un italiano su cinque è colpito da questa patologia. Tra gli anziani affetti da diabete circa un terzo vive da solo. Il dato va incrociato con l’alta frequenza delle complicanze a lungo termine della malattia che, come si sa, sono profon­damente invalidanti: cardiopatie, malattie cerebrovascolari, insufficienza renale, glaucoma, retinopatie, cecità ecc.”.
Questo, come tutti i miei scritti esaltano la figura dell’“Uomo sapiens” perché sono fortemente convinto che l’informazione e la professionalità non possono scindersi perché sono entrambi essenziali e fondamento di una nuova Italia civile.
Noberto Bobbio aveva trattato questa tematica generale nel 1964 con un libro edito da Lacaita Editore, ma visto lo stato attuale della nostra civiltà è servito a poco. Eppure lui si chiama Noberto Bobbio e di obesità non si parlava perché si chiama opulenza.



sabato 1 ottobre 2016

Articolo pubblicato su MOLESKINE - anno 9 n. 9/10 - Settembre 2016 - LA METROSTRETTO - Lunga è la strada e larga la via. Basteranno i cannoni?



LA METROSTRETTO
Lunga è la strada e larga la via.
Basteranno i cannoni?

Achille Baratta

“Il bersaglio” è un insieme di saggi sulle professioni in cui si è inserito uno scritto di Alberto Mondini dal titolo “L’ingegnere”; erano gli anni Sessanta e si sentiva la necessità di una moderna inchiesta giornalistica sull’evolversi delle vecchie e nuove professioni frugate nella loro realtà e nelle loro prospettive al di fuori di ogni schema convenzionale.
Poi, passarono gli anni ma non si definirono mai gli schemi; forse l’autore intravedeva il tramonto del tecnigrafo che aveva sostituito la riga a T sui tavoli degli ingegneri.
Alberto Mondini va oltre e vede per la prima volta nell’ingegnere, oltre al progettista, il dirigente e scrive: “Poiché non sussiste vera tecnica se non costruita su base di economia obbiettivamente sana – cioè aderente alle richieste del mercato – è ovvio che l’ingegnere ha bisogno di essere indirizzato e sorretto, specialmente nei settori che rivestono carattere applicativo e professionale, non solo dal docente che, nell’ambito degli attuali programmi, può indicare solo vie e concetti fondamentali atti a illuminare la stretta relazione fra produzione ed economia, ma da un complesso di attività fatto di sperimentazione, di indagine e di letteratura capace di offrire allo studio fondamentale quegli indispensabili complementi che formeranno del laureato – e più sollecitamente che sia possibile – un elemento capace di assumere responsabilità economiche”.
Qualcuno dice con arroganza che una sola non manca al progettista-professionista: la noia.
Nell’aprile 2016, con l’editore Nottetempo, Luca Molinari scrive “Le cose che siamo”.
“La casa diventa voce psicanalitica di chi la desidera e di chi la progetta. E le finestre non sono più mediazione tra la forma della città e la residenza, ma riflesso di un’interiorità soggetta a cambiamenti radicali. Le ville bianche di Loos, tra Austria e Cecoslovacchia, con elegante ermetismo rivelano da una parte il sogno di un lontano e assolato Mediterraneo, e dall’altra l’idea che la casa sia il prodotto di un pensiero completamente privato. Gli eleganti volumi ancorati alla terra sono l’immagine più estrema, di una borghesia ormai indifferente alla città, al suo rumore e alla sua folla. Ogni casa è un labirinto della mente, dei ricordi e delle memorie che vi si andranno a sedimentare”.
Luca Molinari è critico e tiene un’interessante rubrica di architettura sul settimanale “L’Espresso”.
Lui scrive, tra l’altro: “Il progettista romano Franco Purini in un lavoro grafico e visionario del 2000 aveva immaginato una città per un milione di persone costituita da un milione di abitazioni. Per ogni casa, un abitante che vi avrebbe prima vissuto, poi l’avrebbe avuta come tomba. Alla fine della città avremmo avuto una monumentale, immensa necropoli. È un’immagine chiara: ognuno di noi è una, casa che non ci abbandona mai e in cui ritirarsi nell’ultimo respiro. Si nasce soli e si muore soli. Prima cresciamo nel ventre materno, vera abitazione-città all’origine della nostra esistenza, poi abbiamo bisogno di una casa nostra, luogo sacro, unico, indiscutibile, che può ampliarsi nel tempo ma che, alla fine, rimarrà sempre e comunque la stanza segreta in cui sarà concesso chiudersi all’ultimo”.
Sì, le case ma chi le progetta? Chi le pensa?
Non si può certamente identificare solo sul costruito o sul costruire, occorre allargare lo sguardo e occuparsi di urbanistica e, soprattutto, del territorio come una fabbrica di eventi, di panorami e di silenzi che devono guidare al mondo; ci sono e voglio essere interconnessi e sorvolati.
All’ingegnere, all’architetto si aggiunge una nota figura: quella dell’ideatore senza scopo di lucro che crede nella propria proposta e si ribella alle barriere della cultura e della politica che non sanno guardare dall’alto.
Al Circolo della Stampa di Milano, con grande eco nazionale, viene presentata “La metropolitana dello Stretto di Messina”: un collegamento a cinquanta metri d’altezza tra la Stazione Marittima di Messina e l’Aeroporto dello Stretto.
L’attraversamento dello Stretto ricalca quello già esistito tra le due sponde e costituisce un unicum mondiale, studiato da Massimo Majowiecki.
L’idea più redditizia al mondo una metropolitana che conurba le due sponde dello Stretto e non solo, è autosufficiente, è diventa la centrale fotovoltaica più grande del Sud.
Il sindaco di Messina è preso da altre mille problemi, compresa la sua sopravvivenza di Sindaco di quella città “No Ponte”.
La sua battaglia è terminata con l’appalto dell’opera e le sue finte di inizio lavori. Ma la verità è più cruda: l’opera e quindi il contratto non aveva copertura economica.
Tutto nel nostro Paese diventa normale; i ministri, a loro insaputa, comprano casa o fanno assumere i loro congiunti.
È meno normale proporre un’idea, i colleghi vogliono sapere i particolari e precedenti e se esistono al mondo soluzioni simili.
Tutto è sotteso da un’ignoranza abissale, che ha varcato lo Stretto ed è già un cittadino del mondo. Niente di nuovo, la storia si ripete. La domanda più semplice è quando si farà?
Loro dimenticano che a Messina il museo è in costruzione da un numero infinito di anni e che il nostro Assessore Regionale al Turismo non riesce ad aprirne almeno un salone. Non è divisibile in lotti, o meglio non ci hanno pensato mai: i lotti funzionali sono contro legge.
A proposito, la metropolitana è realizzabile in piccoli lotti e con la partecipazione di tutti. Il tempo previsto: 18 mesi; la spesa leggermente superiore a quella del contenzioso con l’impresa contraente che lievita ogni giorno e va oltre i 700 miliardi di euro.
Il sindaco, proviene dalla scuola e la ama come sua seconda casa e alla casa volante non ci crede.
Quelli dell’altra sponda dicono che li vogliamo invadere e che loro preferiscono non mescolare i Peloritani con l’Aspromonte.
Eppure i loro piani regolatori redatti da Samonà e Quaroni hanno sentito l’aria della conurbazione invocata dai progettisti.
Ma la vera domanda è: “Chi progetta: l’ingegnere, l’architetto o la politica?”
E la politica da chi è fatta nel nostro Sud, non pensata alla mafia, perché sbagliate con certezza.
Chi propone il nuovo è un visionario, ma il vecchio che ci ha dato? La disoccupazione giovanile è alla soglia di rottura; in Sicilia 700.000 giovani, di entrambi i sessi non studiano né lavorano; sono esperti in astronomia, guardano le stelle nelle notti di luna chiedendosi se durerà e fino a quando?
Renzo Piano nel 1990 per la sua Genova aveva guidato il futuro dei trasporti; si chiama Metrogenova e dichiarava “Porterò la gente in Piazza, per fermarmi dovranno prendermi a cannonate”; ma qua, in Sicilia, ai cannoni suppliamo “a scupetta”.
Nel capo delle arti creative niente di nuovo. Susumo Shingu con la sua vita e le sue opere ne è l’ispiratore.
Ecco la sua vita professionale: Nasce ad Osaka, in Giappone nel ‘60 si laurea a Tokyo, all’University of Arts, ottiene una borsa di Studio dal Governo Italiano, e studia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Del 1962-1966 sono le prime mostre collettive il Italia, Austria e Germania. Torna in Giappone e nel 1967 tiene a Tokyo la prima mostra all’aperto intitolata “Wind structures”.
Viene selezionato per l’Expo Internazionale di Osaka e durante il 1971-1972 è visiting artist all’Università di Harvard. Tiene a New York, al Pepsi-Co, Purchase, una mostra all’aperto intitolata “Wind and Water Sculputures”. Harry N. Abrams, pubblica la prima monografia “Shingu”. Vince in Giappone varie importanti mostre di scultura e nel 1984 tiene al Museo d’Arte Moderna di Hyogo una personale intitolata “Breathing Sculptures” e una personale alla Galleria Civica di Kanagawa nell’86. Vince il Gran Premio di Yokohama e il 18° Gran Premio dell’Arte Giapponese, nel 1987 espone una mostra itinerante all’aperto intitolata “Windcircus” a Brema, Germania; a Barcellona in Spagna e a Lahti in Finlandia. È invitato a Seoul per creare una scultura all’aperto per il Parco Olimpico. Nel 1989 vince il Gran Premio Speciale Henri Moore e tiene una personale a Parigi, all’Arts Center.
Questo è il vero simbolo della professione/idea, a cui dedicherò quella piccola parte di vita che mi resta.






giovedì 29 settembre 2016

Articolo pubblicato su 100NOVE - Anno II - Numero 36 - 29 settembre 2016 - LA MIA PIAZZA CAIROLI E LA SUA MESSA IN SICUREZZA


Achille Baratta*

Quali sono i compiti di un progettista? Semplice e nello stesso tempo complicato. Ricercare sull’etica professionale e sfogliare l’alfabeto della rivoluzione culturale può servire, spendere quasi niente, innovare, incuriosire e dare il massimo del coefficiente costi-benefici. Andare a Piazza Cairoli a vederla circoscritta e quasi crocifissa dalla intolleranza e dalla trascuratezza ti fa imprecare, ma a che serve, forse è meglio progettare e proporre, per far uscire da quel sacco di iuta che fa esclamare a chi ci guida: siamo alla sbaraglio.
Ormai da mesi lavoro a questa ardita soluzione che vuole essere più che un progetto, un segno grafico di 60 artisti e l’offerta di alcuni operatori nel campo della ceramica artistica di Sicilia.
Una coniugazione quasi infantile, ma difficile da percorrere, eppure la Regione Sicilia (www.regione,sicilia.it) si spende molto bene e chiaramente descrivendo un semplice grafico d’artista per i social media.
Un’opera d’arte di strada per identificare i profili social che la Regione Sicilia ha attivato per raccontare tutte le attività legate al Fondo Sociale Europeo Sicilia 2020, scambiare contenuti e creare relazioni con i propri interlocutori web.
È la scelta che ha operato il Comitato di sorveglianza dei procedimenti legati all’Fse Sicilia 2020 e ha individuato un’opera di Renato Hunto, un artista di strada di scuola cubista che ha donato alla città di Palermo una bellissima opera dipingendola sul muro di una piccola strada in un quartiere povero.
Una ragione in più per valorizzare un’opera che con il suo linguaggio visivo esprime valori e contenuti coerenti con lo stile che la Regione ritiene debba essere manifestato dal Fse Sicilia 2020 anche nei media sociali. L’arte urbana è, infatti, una forma di cultura vicina ai cittadini, proprio come intende essere l’amministrazione, a diretto contatto con le persone.
L’opera di Hunto, che è stata chiamata “Allegra” per i colori vivacissimi, attrae e rende gli account dell’Fse Sicilia 2020 immediatamente riconoscibili, soprattutto ai giovani, ma contemporaneamente li rende coerenti con il messaggio culturale che il Comitato di sorveglianza del programma comunitario intende perseguire in ogni sua azione di comunicazione.
Il dodici settembre al Salone delle Bandiere del Comune di Messina ho presentato il progetto redatto con la collaborazione di sessanta artisti che si dichiarano disponibili presentando i relativi bozzetti inseriti nel progetto da collocare in modo ordinato nella pavimentazione prevista in cemento colorato.
Poi le osservazioni costruttive che sono nate nel dibattito mi hanno portato a proporre una soluzione per mettere in sicurezza le pensiline e adornarle con le opere direttamente regalate dagli artisti, poi un’altra soluzione molto economica che prevede una spesa complessiva inferiore a 18.000 euro con ripristino dell’attuale tavolato evidenziando che il realizzato è infiammabile e difforme dallo strumento urbanistico.
E poi, infine, una soluzione “allegra” con delle ceramiche siciliane che saranno donate all’Amministrazione per impreziosire una piazza che finalmente potrà essere tematica e allegra.
La spesa circa 80.000 euro, un decimo di quella di cui si chiede il finanziamento.
Nessuna proposta sovversiva e irrazionale ma semplicemente una messa in sicurezza che produce bellezza.
Non posso essere io, i miei artisti o miei ceramisti disponibili a donare a darmi un voto.
Ma se condividete date un segno, se siete contrari sparate, ma è proprio il silenzio che uccide e non avere opinioni, oggi, non è possibile, specialmente quando si tratta del cuore commerciale della tua città.
Il commercio non è poi la chiave di volta di un’economia? Ma nel caso di una piazza è il simbolo della città, che non va esportato o distorto per interessi paralleli che tendono ad esaltare il brutto per mortificare una città che cerca le soluzioni per sopravvivere o evitare che l’università chiuda per mancanza di allievi e che continui l’epidemia di chi va a curarsi altrove.
Permetteteci,almeno, di prenderci una granita di caffè con panna in una Piazza Cairoli ridente, che con pochi euro diventi da ricettacolo d’immondizia una cosa semplicemente “unica”.

Probabilmente un progetto gratuito non vale niente, ma è fatto con amore!

* Ingegnere progettista