lunedì 12 dicembre 2016
CARTE D'ARTISTA - MOSTRA COLLETTIVA DI ARTE DEL RICICLO - IARRUSA RIUSA
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venerdì 9 dicembre 2016
Articolo pubblicato su 100NOVE - 8 Dicembre 2016 - 'Ndrangheta e classi dirigenti - Storie choc di Gretteri e Nicaso
Articolo pubblicato su 100NOVE - 8 Dicembre 2016 - 'Ndrangheta e classi dirigenti - Storie choc di Gretteri e Nicaso
LA ‘NDRANGHETA E LE MAFIE CLASSE
DIRIGENTE CHE NON VOGLIAMO NÉ COME PADRINI NÉ COME PADRONI.
Un grido d’allarme di Nicola Gratteri e
Antonio Nicaso
Achille Baratta
Non mi sono mai
sentito così ignorante. È una situazione di stallo dover stare per anni a
sentirti erudito e, poi, in un secondo tempo ti accorgi che tutte le tue
certezze si traducono in una parola sola: analfabetismo.
Certamente non si
possono sapere tutte le branche del sapere e dell’informazione, ma gli
argomenti fondanti di una società, come la nostra, non possono sconoscersi.
Che l’Italia sia
attanagliata dalle mafie è, purtroppo, evidente a tutti, ma Piero Grasso aveva
scritto “La mafia invisibile” e Sciascia l’aveva romanzata anche nel suo
realismo;ma come scrive Raffaele Carcano nel blog UAAR di “MicroMega” (30
aprile 2014):
«Che l’Italia difetti di civismo è evidente a tutti: siamo la patria del
“familismo amorale”, secondo la definizione che tra mille polemiche e poche
confutazioni coniò Edward Banfield descrivendo un paesino del sud (peraltro
assolutamente cattolico). Ed è innegabile che sia la fede cattolica a riempire
spesso tale vuoto. L’irrazionale del resto riempie sempre un vuoto: esiste
proprio per questo. Ma è discutibile, molto discutibile che la religione svolga
un ruolo di supplenza. In realtà è vero il contrario: oltre la religione non
c’è alcun vuoto, c’è invece proprio il civismo. Perché è il civismo che
costituisce il supplente o, meglio ancora, il reale sostituto della religione:
il civismo segue cronologicamente la religione e ne ha rimpiazzato le funzioni
sociali. La religione è infatti nata quale quadro ideologico imposto a tutti
all’interno di una società tribale, e non è stata poi in grado di adattarsi a
società plurali. Il civismo, la laicità e la democrazia sono valori che sono
emersi a causa dell’incapacità, costitutiva delle dottrine religiose di dare un
quadro valoriale comune all’intera popolazione. È in qualche modo inevitabile:
una parte della società difficilmente può riuscire a forgiare i comportamenti
virtuosi di tutti coloro che ne fanno parte».
Ma per parlare di
civismo sociale e politico occorre conoscere le mafie e la loro storia.
Finalmente uno
squarcio di verità ci viene dal libro edito in questi giorni da Mondadori,
scritto da chi – ogni giorno – sfida le forze occulte e meno occulte che si
chiama “’ndrangheta”, è un giudice di Palmi, in Calabria, che ci racconta come
fin dalla Unità d’Italia, anche naturalmente prima, la malavita organizzata è
stata l’ombra nera della politica; con lui scrive Antonio Nicaso, storico della
organizzazione criminale, il loro volume “Padrini e padroni” è stato stampato
nel Trentino su carta da fonti gestite in maniera responsabile. Certamente,
personalmente avrei preferito che fosse stampato in Calabria, ma i percorsi
editoriali sono quelli e se vuoi dare voce ai tuoi sentimenti di dovere devi
attaccarti alla tromba che suona più forte.
Il libro racconta la
storia e le storie che non avevo mai letto:
«Nella notte tra il 15 e il 16 giugno del 1869 a Firenze,
in via dell’Amorino, a pochi passi dalla stazione di Santa Maria Novella, un
uomo viene pugnalato. Il ferito non è un uomo qualunque. Si chiama Cristiano
Lobbia, maggiore dell’esercito, ex garibaldino, eletto deputato nel collegio di
Thiene-Asiago, nella lista del Partito liberale.
La notizia dell’agguato finisce sulle prime pagine di
tutti i giornali e manifestazioni di solidariètà vengono organizzate in molte
città italiane. Quella di Milano si conclude con gravi incidenti, mentre in
Parlamento infuria la polemica. “Se il Governo in questa circostanza non usasse
il rigore, l’energia e la speditezza necessaria per arrivare allo scorrimento
della trama scellerata di cui fu vittima l’onorevole Lobbia, sapete che cosa ne
avverrebbe?” si chiede, tra gli altri, il parlamentare calabrese Luigi Miceli
durante la seduta. “Avverrebbe che il pugnale che non ha ucciso l’onorevole
Lobbia avrebbe ucciso la coscienza del Paese”.
Tutto
era qualche mese prima, quando il governo, guidato dal generale Federico
Menabrea, aveva deciso di cedere per vent’anni il monopolio dei tabacchi a
faccendieri legali al Credito Mobiliare, in cambio di un’anticipazione di cassa
di 10 milioni di lire: meno della metà di quelli offerti – senza accordi
capestro – da stimati finanzieri parigini e londinesi. La convenzione, firmata
con lo scopo di risanare le casse dello Stato, svuotate dalle spese militari
per le guerre d’indipendenza, aveva immediatamente suscitato molti sospetti. Si
era vociferato che per favorirla fossero stati distribuiti diversi milioni –
“zuccherini” – “dei quali sei al re e due [da dividersi] tra sessanta
deputati”. Sollevando in Parlamento due grossi plichi con cinque sigilli rossi,
il maggiore Lobbia aveva dichiarato di possedere “dichiarazioni di testimoni,
superiori a qualsiasi eccezione a carico di un deputato nostro collega”».
Naturalmente, poi,
il maggiore Lobbia viene incriminato e “Quando gli restituiscono l’onore – come
scrive Gian Antonio Stella – è un uomo finito”.
In quegli anni
sembra che tutto venga girato in un film in retrospettiva:
«“Fazzoletto annodato al collo, solini piegati,
cappellino tondo sotto le cui falde si vede il ciuffo dei bravi”, il
calzone a campana, cioè stretto alle gambe e cadente largo sulle scarpe, i
camorristi reggini fanno capo a Francesco De Stefano di Giorgio e a Paolo
Panzera di Filippo, entrambi originari di Sbarre-Spirito Santo.
De Stefano non è un “guappo” qua1unque. Droghiere, è uno
dei “principali sospetti in fatto di furti, di grassazioni, di contrabbando di
merci e di smaltimento di biglietti falsi della Banca”. Privato del porto
d’armi, nel 1872 verrà ammonito come “maffioso e camorrista” e nel 1880 il suo
indirizzo verrà rinvenuto, tra alcune carte sequestrate
all’anarchico-rivoluzionario internazionalista Andrea Costa e alla sua compagna
Anna Kuliscioff.
L’organizzazione criminale, già segnalata nel 1861 al
ministro dell’interno dal prefetto Raffaele Cassito, per il “modo deplorevole”
con cui infesta la città di Reggio Calabria, è conosciuta negli ambienti
investigativi come “setta degli accoltellatori”, comprendente anche malavitosi
messinesi e in grado di dirimere questioni private e grane elettorali. Si
addestrano all’uso del coltello e praticano la “tirata”, una sorta di duello
rusticano, simile a quello descritto da Marc Monnier nella sua inchiesta del
1862 sulla camorra napoletana.
Nelle elezioni del 1869, gli “accoltellatori” di De
Stefano, denominato “gran bastone”, arrivano a intimidire politici e
professionisti, assumendo atteggiamenti minacciosi davanti ai seggi e
rendendosi protagonisti di brogli elettorali, tanto da costringere il prefetto
Achille Serpieri a sciogliere il Consiglio comunale appena eletto».
La motivazione
“schede false”, quelle schede false hanno risonanza in campo nazionale. Ma non
basta; anche le Americhe ne sono condizionate e oggi che cosa succede e
succederà?
«A Reggio Calabria Luigi De Blasio viene eletto sindaco
della città. A Bagnara si conferma Francesco Saverio Vollaro. Tornano in
Parlamento anche Luigi Miceli, Giovanni Nicotera, Achille Fazzari, Alfonso
Lucifero e Pietro Toscano. Su 2.420.327 elettori votano 1.415.801, il 58,5 per
cento degli aventi diritto. Entrano in Parlamento 292 deputati ministeriali, 25
della sinistra dissidente, 145 pentarchici, 44 radicali. È la legislatura che
segna il passaggio dai governi Depretis a quelli guidati dal siciliano
Francesco Crispi, difensore spietato dei vecchi assetti proprietari e
produttivi del Mezzogiorno.
Niente avviene al di fuori del controllo della
‘ndrangheta, neanche oltreoceano: alloggio, lavoro, apertura di piccoli
commerci. “Appena arrivati” scrive il “Corriere della Sera” in una
corrispondenza da New York, “cascano in mano della camorra o della mafia,
secondo il luogo di loro provenienza. Coteste due arpie del nostro disgraziato
paese; qui fioriscono meglio che in Italia, perché qui si raccolgono i soggetti
peggiori fra i caporioni, quelli che, se fossero in Italia, dovrebbero stare in
prigione a scontare qualche condanna”. Una malapratica che persiste nel tempo.
Ancora oggi i più spietati caporali nello sfruttamento della manodopera
extracomunitaria in Calabria sono legati alla ‘ndrangheta.
Le cose non cambiano neanche con l’arrivo del nuovo
secolo che sì apre con due omicidi eccellenti, quelli del re Umberto I e del
presidente degli Stati Uniti, William McKinley, entrambi uccisi per mano di
anarchici. Cresce il malcontento popolare contro l’aumento del prezzo del pane
e il pagamento della fondiaria o del focatico. In Calabria c’è chi protesta
anche per il mancato ampliamento dell’elenco dei poveri che dà accesso
all’assistenza medica gratuita. Nelle numerose rivolte popolari, tantissimi
contadini, alcuni anche minorenni, muoiono sotto i colpi dei moschetti
scaricati sulla folla dai reali carabinieri».
La storia è sempre
quella: violenza e sottrazione di atti nei tribunali, non è un fatto solo di
Calabria o di Stretto di Messina, ma ancora le cronache registrano
l’inverosimile.
«Passano 126 anni
dalla vicenda degli “accoltellatori” di Reggio Calabria e la ‘ndrangheta
riproduce gli stessi modelli in Val di Susa, in Piemonte, al confine con la
Francia, dove viene sciolto il Consiglio comunale di Bardonecchia. È una
decisione senza precedenti, la prima nel Nord dall’entrata in vigore nel 1991
della legge che consente l’azzeramento dei Consigli comunali per infiltrazioni
mafiose.
“La cattiva fama che la cittadina dell’Alta Valle di Susa
si porta dietro da oltre un ventennio, tuttavia, non è una novità, sebbene in
quei giorni di primavera del ‘95 a Bardonecchia si cerchi di minimizzare e si
finga perfino stupore per il provvedimento adottato dal Quirinale” scrive
Massimo Novelli su “la Repubblica”.
Nel 1995 è ancora una volta lo stupore a fare da sfondo a
una vicenda che ruota attorno a una serie di appalti per la costruzione di case
e alberghi a Campo Smith, una zona donata al comune di Bardonecchia al volgere
del secolo, con l’esplicita clausola di destinazione a parco pubblico e per un
tempo indefinito.
Il nome è legato all’impresa dei due -fratelli norvegesi,
Harald e Trigwe Smith, che nel 1909 avevano battuto il record mondiale dal
trampolino con un salto di 44 metri proprio a Bardonecchia, già allora
apprezzata località turistica, frequentata anche dal presidente del Consiglio
dei ministri del tempo, Giovanni Giolitti.
Ceduta a un prezzo
di gran lunga inferiore rispetto al valore di mercato, la zona Smith, negli
anni Novanta, viene trasformata in zona residenziale. A seguito di
un’inchiesta, vengono arrestati il sindaco e alcuni funzionari comunali con
l’accusa di speculazione edilizia, varianti ingiustificate al piano regolatore
generale e vendita sotto-costo di terreni. Dopo l’arresto, per manifestare
solidarietà al sindaco e ai burocrati finiti in manette, scendono in piazza
uomini di Chiesa ed esponenti politici di destra e di sinistra. Al processo di
appello, amministratori e funzionari comunali vengono prosciolti e in parte
risarciti per l’entrata in vigore di una nuova legge che modifica i criteri
della valutazione dei terreni e che di fatto porta a sottostimarli.
Nel decreto di scioglimento, del Consiglio comunale di
Bardonecchia nel 1995, il ministro dell’interno Antonio Brancaccio segnala
l’esistenza di “un vero e proprio comitato di affari” che, soprattutto in
materia edilizia e urbanistica, si mostra capace di influenzare le scelte e le
attività degli organi del comune.
Molti fingono di stupirsi. Ma dopo lo scioglimento del
Consiglio comunale, in città cambia poco o nulla. Nelle elezioni del 1996 la
lista a sostegno del sindaco che guidava il Consiglio comunale sciolto per
mafia ottiene il 70 per cento dei voti, dopo aver, incentrato la campagna
elettorale sul tema della “continuità” e potendo contare sull’appoggio sia del
Partito democratico, a sinistra, sia dei partiti di destra. Quattro dei nuovi
eletti, tra cui il nuovo sindaco, facevano parte del Consiglio comunale sciolto
per infiltrazione mafiosa».
Ma non è finita: gli
americani tornano in Calabria e dettano legge in occasione delle elezioni
amministrative del 1908; ecco il testo di un esposto inviato al Prefetto:
«L’amministrazione [comunale] presentendo la sua caduta
non lascia mezzo alcuno intentato per conservarsi al potere, e quindi
sguinzagliò nella lotta gli elementi peggiori dei bassi fondi sociali,
malavita, mano nera di New York reduci dalle patrie galere, ed il compagno del
bandito Musolino, Jatì Giovanni […] Questi tutti fanno capo a Filastò Gaetano,
assessore, zio di Musolino e padre di un grave pregiudicato Filastò Francesco,
troppo noto alla pubblica sicurezza. Tutto ciò per farsi un’idea che gente è
sul terreno elettorale. L’amministrazione sa che non può vincere sul terreno
legale e quindi tenta cercare disordini ed arbitrii per riuscire nell’intento.
E per meglio ricamare il piano prestabilito ha scelto per sala elettorale, non
quella del comune, ma un basso di casa Filastò, cioè del capo-partito Fava
Stefano. Da dove con posizione privilegiata, si possono dai sullodati elementi
provocare ogni sorta di provocazioni ed arbitrii con danno enorme agli
avversari che resterebbero allo scoperto da questa disonesta strategia,
preparata con arte a comprimere la volontà del corpo elettorale.
Nella denuncia, il notaio Fava fa anche riferimento
all’uso dell’acqua irrigua concessa strumentalmente per “ragioni elettorali”,
cioè con lo scopo di ottenere consensi».
Nel periodo fascista
una amnistia del 1932 vanifica quel poco che si era fatto, nel discorso dell’Ascensione
il Duce sulla Calabria e la malavita calabrese non fa neanche riferimento.
Poi gli anni e gli
uomini passano e dopo il golpe Borghese, il clan De Stefano:
«Dopo il tentato golpe Borghese, il clan De Stefano e i
suoi alleati incrociano la rivolta di Reggio che segna un momento decisivo del
patto politico-affaristico-mafioso. Uno spazio opaco tra legale e illegale,
fatto di collusioni e complicità. Si infiltrano tra le barricate, partecipano
agli scontri con le forze dell’ordine e alimentano la strategia della tensione,
come racconta Giacomo Lauro, ex boss di Pellaro. “Sono stato io a fornire la
carica di tritolo utilizzata per far deragliare il direttissimo Palermo-Torino,
all’altezza della stazione di Gioia Tauro” dichiara molti anni dopo ai
magistrati. In quell’occasione, perdono la vita sei persone; altre sessanta rimangono
ferite».
Per sedare la
rivolta il “Pacchetto Colombo” prende il nome dell’allora Presidente dei
Ministri, ma è una vera e propria trattativa con elargizioni finanziarie di
potere togliendo a Reggio Calabria la propria egemonia.
Il 12 luglio 1967
una truffa di alcune decine di milioni al Banco di Napoli: nessuna meraviglia;
poi in Sicilia si sono mangiati la Cassa di Risparmio per le province
siciliane.
Non solo Calabria,
Roma e Canadà, ma anche Germania:
«Ma la vicenda che porta la ‘ndrangheta alla ribalta
nazionale e internazionale è la strage di Duisburg, a Ferragosto del 2007. In
Germania, quel giorno, vengono assassinate sei persone nell’ambito di una faida
che da anni insanguina San Luca. Dietro motivi apparentemente riconducibili a
rivalità territoriali in Calabria ci sono gli interessi legati ai grandi
traffici di droga e agli investimenti in Germania. La notizia finisce sulle
prime pagine dei quotidiani tedeschi e italiani, ma anche americani,
australiani e canadesi. Il “Los Angeles Times” definisce la ‘ndrangheta la
regina del narcotraffico e il “The Guardian” una mafia ancora più potente di
Cosa nostra.
È troppo per fare ancora finta di non vederla, lasciando
l’impari lotta nelle mani di pochi magistrati che si affannano a chiedere
riforme normative, ma anche adeguamenti degli organici».
Poi la faccenda Di
Girolamo, senatore della nostra Repubblica e, anche, stranamente condannato per
riciclaggio di due miliardi di euro.
Poi, facendo una
parentesi fuori dal libro, penso alle processioni e ai funerali con i fiocchi e
inorridisco.
Così come gli
squarci di Fontana, questi eventi storici e documentati mi turbano e mi fanno
diventare incredulo nella mia ignoranza.
Un Paese turbato
profondamente, dove il sottile filo della corruzione ancora non viene percepito
piano ma è il filo conduttore non solo del libro ma di quella realtà di cui
probabilmente non ci libereremo mai, restando come scriveva Italo Calvino,
l’onestà nel Paese dei corrotti, e io aggiungo: vorremo rubare nella città dei
ladri e ci illudiamo di parlare di civismo, dove la violenza della politica
stringe la mano insanguinata degli “accoltellatori” con la dinamite in digitale
mondiale, in tempo reale, sono loro i primi veri autori della globalizzazione
senza frontiere.
Politicamente
parlando: chi resta fuori è un cornuto e, come tale, non è credibile né
votabile. Io voto NO. Non voglio morire suicida della mia libertà di voto.
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giovedì 8 dicembre 2016
L'aiula data in gestione gratuita dal Comune di Messina - Viale Annunziata
Da soli non si fa niente.
Una aiula vicino alla rotatoria all'angolo tra Viale Annunziata e viale della Libertà di fronte al Museo che aprirà domani, 09.12.2016, un'espressione di collaborazione tra l'ingegnere Achille Baratta e l'associazione Agorà - Circolo Richeativo. Questo conferma che con la partecipazione dei cittadini la città si può fare più bella senza incidere sul bilancio comunale, rafforzando la convinzione che la città è degli utenti e non dei dirigenti o dei politici che li guidano nel labirinto del nulla.
Una aiula vicino alla rotatoria all'angolo tra Viale Annunziata e viale della Libertà di fronte al Museo che aprirà domani, 09.12.2016, un'espressione di collaborazione tra l'ingegnere Achille Baratta e l'associazione Agorà - Circolo Richeativo. Questo conferma che con la partecipazione dei cittadini la città si può fare più bella senza incidere sul bilancio comunale, rafforzando la convinzione che la città è degli utenti e non dei dirigenti o dei politici che li guidano nel labirinto del nulla.
giovedì 1 dicembre 2016
giovedì 17 novembre 2016
Articolo pubblicato su 100NOVE - ANNO n. II - NUMERO 43 - 17 Novembre 2016 - L’ITALIA CIVILE E L’OBESITÀ
L’ITALIA CIVILE E L’OBESITÀ
“Numerosi studi, in particolare quelli più recenti,
hanno dimostrato che le persone sovrappeso e obese, prese nel loro insieme, non
presentano disturbi psicopatologici maggiori significativamente più frequenti
né più gravi né tipici rispetto agli individui di peso normale. Tuttavia il
pesante stigma sociale che colpisce l’obesità, l’orientamento lipofobo della
società contemporanea che esalta la magrezza e disprezza il grasso non è senza
conseguenze, soprattutto per alcuni soggetti. Come hanno suggerito da tempo
Friedman e Brownell, non dovremmo più cercare se le persone in eccesso di peso
presentino disturbi psichici più spesso di quelle normopeso; ma piuttosto
provare a capire quali soggetti, nella vastissima ed eterogenea popolazione
sovrappeso/obesa, sono più esposti a vivere male la loro condizione morfologica
e, quindi, sono più vulnerabili sul piano psicopatologico. È un orientamento
della ricerca indicato dall’espressione inglese «risk-factor approach», coerente con un principio generale, «fil rouge» del nostro libro: il
termine «obesità», per il
criterio con cui è definito, copre una campo di fenomeni molto eterogenei.
Tanto più nell’area degli aspetti psicosociali”.
Il “nostro
libro” è quello di Ottavio Bosello e Massimo Cuzzolaro dal titolo “Obesità”,
edito da “il Mulino”, stampato su carta Munken Print White di Arctic Paper, una
riflessione questa che riguarda i rapporti tra obesità e rapporti psichici.
Tutto gira intorno ad un interrogativo:
“L’obesità è una malattia? più sì che no; certo è
che all’accumulo adiposo si associano spesso patologie somatiche, menomazioni
funzionali e difficoltà psico-sociali; la speranza di vita tende a ridursi e la
sua qualità a peggiorare, anche a causa dello stigma che incombe sulle persone
grasse. In questo libro si affrontano tutti i problemi connessi all’obesità,
dalle cause al perché della sua diffusione, dalle attuali possibilità delle
cure mediche alla spinosa questione della chirurgia bariatrica, fino alle controversie
intorno ai programmi di prevenzione”.
Ottavio Bosello
ha insegnato Medicina interna nella Università di Verona, Massimo Cuzzolaro,
Psichiatria e Psicologia Clinica alla Sapienza di Roma.
Ma il loro
scritto, su un delicatissimo tema sociale, che dall’America ora passa a noi
europei è il frutto di una ricerca
capillare che è esposta nelle note del capitolo terzo.
In questo
periodo di crisi economica, parlare degli antistecchini e della formosità
esagerata è un momento di riflessione importante per i suoi aspetti sociali. Al
di là della interpretazione metafisica e prettamente professionale l’attenzione
viene rivolta verso l’individuo perché dopo l’analisi viene la cura: quando il
fondo dell’abisso è stato toccato si ricomincia a salire.
Tra le altre righe
si legge lo sforzo degli autori di andare oltre in tre direzioni canoniche
della esigenza profonda di liberazione, della libertà dal bisogno, della
libertà della diseguaglianza dei punti di partenza, della libertà dal lavoro
digitalizzato, e che pur partendo dal bisogno fondamentale del vivere si
protrae nel bisogno umano che oscilla tra amicizia e speranza.
Con queste
fondamentali illuminazioni gli autori dibattono il problema dividendolo per
capitoli il cui ordine non è casuale: una pandemia contemporanea; geni e peso
corporeo; tra malattia e fattore di rischio, tra soma e psiche; le cure attuali
e i loro limiti, costi dell’obesità e tentativi di prevenzione e, infine, una
riflessione col legame con una malattia diabolica come il diabete, ecco quello che
scrivono:
“Volgiamo ora l’attenzione al diabete, in
particolare al tipo 2, responsabile di oltre il 90%. di tutti i casi di diabete
e strettamente collegato all’obesità.
Negli Stati Uniti i malati di diabete, adulti e
bambini, sono quasi 26 milioni, l’8,3 % della popolazione. Le persone
giudicate secondo i parametri attuali in stato di prediabete sono 79 milioni.
Tra gli adolescenti, la prevalenza del diabete, in particolare del diabete di
tipo 2 legato all’obesità, è salita dal 9% nel 2000 al 25% nel 2008.
Nèl 2030 in Europa, una persona adulta su dieci sarà
malata di diabete secondo le proiezioni dell’International Diabetes Federation.
Per quanto riguarda l’Italia, dati recenti e accurati relativi agli anni
2000-2011 sono stati diffusi on line dall’ISTAT attraverso il documento «Il diabete in Italia». Riassumiamo
sinteticamente qualche dato indicativo.
Tra il 2000 e il 2011 il numero dei malati di
diabete nel nostro paese è salito di circa 800 mila unità. Il tasso
standardizzato di prevalenza per 100 persone è salito da 3,9 a 4,6. Le tre
cause principali di aumento sono state, con ogni probabilità, l’obesità, la
sedentarietà e l’invecchiamento della popolazione.
Come risultato, nel 2011 quasi 3 milioni di italiani hanno
dichiarato di essere affetti dal diabete. Dal punto di vista della
distribuzione geografica, i valori più elevati riguardano il Sud con circa 900
mila casi. Quanto al sesso, il diabete è più diffuso fra i maschi, almeno fino
ai 74 anni. La prevalenza è maggiore nelle classi socioeconomiche più basse,
dove sono anche più diffusi i maggiori fattori di rischio: obesità e
inattività fisica.
La diffusione
(prevalenza) aumenta con l’età: su 100 diabetici 80 hanno più di 65 anni e
oltre i 75 anni almeno un italiano su cinque è colpito da questa patologia. Tra
gli anziani affetti da diabete circa un terzo vive da solo. Il dato va
incrociato con l’alta frequenza delle complicanze a lungo termine della
malattia che, come si sa, sono profondamente invalidanti: cardiopatie,
malattie cerebrovascolari, insufficienza renale, glaucoma, retinopatie, cecità
ecc.”.
Questo, come
tutti i miei scritti esaltano la figura dell’“Uomo sapiens” perché sono
fortemente convinto che l’informazione e la professionalità non possono
scindersi perché sono entrambi essenziali e fondamento di una nuova Italia
civile.
Noberto Bobbio
aveva trattato questa tematica generale nel 1964 con un libro edito da Lacaita
Editore, ma visto lo stato attuale della nostra civiltà è servito a poco.
Eppure lui si chiama Noberto Bobbio e di obesità non si parlava perché si
chiama opulenza.
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mercoledì 19 ottobre 2016
martedì 11 ottobre 2016
Articolo pubblicato su la Gazzetta del Sud - Venerdì 7 ottobre 2016 - La soluzione progettuale pensata dall'ingegnere Achille Baratta - Piazza Cairoli in Sicurezza
Cairoli, un piazzale degli artisti al posto del parquet disastrato
Il cuore pulsante della città nei ricordi di Mollica, Rol e Bonardelli
di Sergio Di Giacomo
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sabato 1 ottobre 2016
Articolo pubblicato su MOLESKINE - anno 9 n. 9/10 - Settembre 2016 - LA METROSTRETTO - Lunga è la strada e larga la via. Basteranno i cannoni?
LA METROSTRETTO
Lunga è la strada e larga la via.
Basteranno i cannoni?
Achille Baratta
“Il bersaglio” è
un insieme di saggi sulle professioni in cui si è inserito uno scritto di
Alberto Mondini dal titolo “L’ingegnere”; erano gli anni Sessanta e si sentiva
la necessità di una moderna inchiesta giornalistica sull’evolversi delle
vecchie e nuove professioni frugate nella loro realtà e nelle loro prospettive
al di fuori di ogni schema convenzionale.
Poi, passarono
gli anni ma non si definirono mai gli schemi; forse l’autore intravedeva il
tramonto del tecnigrafo che aveva sostituito la riga a T sui tavoli degli
ingegneri.
Alberto Mondini
va oltre e vede per la prima volta nell’ingegnere, oltre al progettista, il
dirigente e scrive: “Poiché non sussiste
vera tecnica se non costruita su base di economia obbiettivamente sana – cioè
aderente alle richieste del mercato – è ovvio che l’ingegnere ha bisogno di
essere indirizzato e sorretto, specialmente nei settori che rivestono carattere
applicativo e professionale, non solo dal docente che, nell’ambito degli
attuali programmi, può indicare solo vie e concetti fondamentali atti a
illuminare la stretta relazione fra produzione ed economia, ma da un complesso
di attività fatto di sperimentazione, di indagine e di letteratura capace di
offrire allo studio fondamentale quegli indispensabili complementi che
formeranno del laureato – e più sollecitamente che sia possibile – un elemento
capace di assumere responsabilità economiche”.
Qualcuno dice
con arroganza che una sola non manca al progettista-professionista: la noia.
Nell’aprile
2016, con l’editore Nottetempo, Luca Molinari scrive “Le cose che siamo”.
“La casa diventa voce psicanalitica di chi la
desidera e di chi la progetta. E le finestre non sono più mediazione tra la
forma della città e la residenza, ma riflesso di un’interiorità soggetta a
cambiamenti radicali. Le ville bianche di Loos, tra Austria e Cecoslovacchia,
con elegante ermetismo rivelano da una parte il sogno di un lontano e assolato
Mediterraneo, e dall’altra l’idea che la casa sia il prodotto di un pensiero
completamente privato. Gli eleganti volumi ancorati alla terra sono l’immagine
più estrema, di una borghesia ormai indifferente alla città, al suo rumore e
alla sua folla. Ogni casa è un labirinto della mente, dei ricordi e delle
memorie che vi si andranno a sedimentare”.
Luca Molinari è
critico e tiene un’interessante rubrica di architettura sul settimanale
“L’Espresso”.
Lui scrive, tra
l’altro: “Il progettista romano Franco
Purini in un lavoro grafico e visionario del 2000 aveva immaginato una città
per un milione di persone costituita da un milione di abitazioni. Per ogni
casa, un abitante che vi avrebbe prima vissuto, poi l’avrebbe avuta come tomba.
Alla fine della città avremmo avuto una monumentale, immensa necropoli. È
un’immagine chiara: ognuno di noi è una, casa che non ci abbandona mai e in cui
ritirarsi nell’ultimo respiro. Si nasce soli e si muore soli. Prima cresciamo
nel ventre materno, vera abitazione-città all’origine della nostra esistenza,
poi abbiamo bisogno di una casa nostra, luogo sacro, unico, indiscutibile, che
può ampliarsi nel tempo ma che, alla fine, rimarrà sempre e comunque la stanza
segreta in cui sarà concesso chiudersi all’ultimo”.
Sì, le case ma
chi le progetta? Chi le pensa?
Non si può
certamente identificare solo sul costruito o sul costruire, occorre allargare
lo sguardo e occuparsi di urbanistica e, soprattutto, del territorio come una
fabbrica di eventi, di panorami e di silenzi che devono guidare al mondo; ci
sono e voglio essere interconnessi e sorvolati.
All’ingegnere,
all’architetto si aggiunge una nota figura: quella dell’ideatore senza scopo di
lucro che crede nella propria proposta e si ribella alle barriere della cultura
e della politica che non sanno guardare dall’alto.
Al Circolo della
Stampa di Milano, con grande eco nazionale, viene presentata “La metropolitana dello Stretto di Messina”:
un collegamento a cinquanta metri d’altezza tra la Stazione Marittima di
Messina e l’Aeroporto dello Stretto.
L’attraversamento
dello Stretto ricalca quello già esistito tra le due sponde e costituisce un
unicum mondiale, studiato da Massimo Majowiecki.
L’idea più redditizia al mondo una metropolitana che conurba le due sponde
dello Stretto e non solo, è autosufficiente, è diventa la centrale fotovoltaica
più grande del Sud.
Il sindaco di
Messina è preso da altre mille problemi, compresa la sua sopravvivenza di
Sindaco di quella città “No Ponte”.
La sua battaglia
è terminata con l’appalto dell’opera e le sue finte di inizio lavori. Ma la
verità è più cruda: l’opera e quindi il contratto non aveva copertura
economica.
Tutto nel nostro
Paese diventa normale; i ministri, a loro insaputa, comprano casa o fanno
assumere i loro congiunti.
È meno normale
proporre un’idea, i colleghi vogliono sapere i particolari e precedenti e se
esistono al mondo soluzioni simili.
Tutto è sotteso
da un’ignoranza abissale, che ha varcato lo Stretto ed è già un cittadino del
mondo. Niente di nuovo, la storia si ripete. La domanda più semplice è quando si
farà?
Loro dimenticano
che a Messina il museo è in costruzione da un numero infinito di anni e che il
nostro Assessore Regionale al Turismo non riesce ad aprirne almeno un salone.
Non è divisibile in lotti, o meglio non ci hanno pensato mai: i lotti funzionali
sono contro legge.
A proposito, la
metropolitana è realizzabile in piccoli lotti e con la partecipazione di tutti.
Il tempo previsto: 18 mesi; la spesa leggermente superiore a quella del
contenzioso con l’impresa contraente che lievita ogni giorno e va oltre i 700
miliardi di euro.
Il sindaco,
proviene dalla scuola e la ama come sua seconda casa e alla casa volante non ci
crede.
Quelli
dell’altra sponda dicono che li vogliamo invadere e che loro preferiscono non
mescolare i Peloritani con l’Aspromonte.
Eppure i loro
piani regolatori redatti da Samonà e Quaroni hanno sentito l’aria della
conurbazione invocata dai progettisti.
Ma la vera
domanda è: “Chi progetta: l’ingegnere, l’architetto o la politica?”
E la politica da
chi è fatta nel nostro Sud, non pensata alla mafia, perché sbagliate con
certezza.
Chi propone il
nuovo è un visionario, ma il vecchio che ci ha dato? La disoccupazione
giovanile è alla soglia di rottura; in Sicilia 700.000 giovani, di entrambi i
sessi non studiano né lavorano; sono esperti in astronomia, guardano le stelle
nelle notti di luna chiedendosi se durerà e fino a quando?
Renzo Piano nel
1990 per la sua Genova aveva guidato il futuro dei trasporti; si chiama
Metrogenova e dichiarava “Porterò la
gente in Piazza, per fermarmi dovranno prendermi a cannonate”; ma qua, in Sicilia,
ai cannoni suppliamo “a scupetta”.
Nel capo delle
arti creative niente di nuovo. Susumo Shingu con la sua vita e le sue opere ne
è l’ispiratore.
Ecco la sua vita
professionale: Nasce ad Osaka, in Giappone nel ‘60 si laurea a Tokyo, all’University of
Arts, ottiene una borsa di Studio dal Governo Italiano, e studia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Del 1962-1966 sono le prime mostre collettive il
Italia, Austria e Germania. Torna in Giappone e nel 1967 tiene a Tokyo la prima
mostra all’aperto intitolata “Wind structures”.
Viene selezionato per l’Expo Internazionale di Osaka
e durante il 1971-1972 è visiting artist all’Università di Harvard. Tiene a New York, al Pepsi-Co, Purchase, una mostra
all’aperto intitolata “Wind and Water Sculputures”. Harry N. Abrams, pubblica la prima monografia
“Shingu”. Vince in Giappone varie importanti mostre di scultura e nel 1984
tiene al Museo d’Arte Moderna di Hyogo una personale intitolata “Breathing
Sculptures” e una personale alla Galleria Civica di Kanagawa nell’86. Vince il
Gran Premio di Yokohama e il 18° Gran
Premio dell’Arte Giapponese, nel 1987 espone una mostra itinerante all’aperto
intitolata “Windcircus” a Brema, Germania; a Barcellona in Spagna e a Lahti in
Finlandia. È invitato a Seoul per creare una scultura all’aperto per il Parco
Olimpico. Nel 1989 vince il Gran Premio Speciale Henri Moore e tiene una
personale a Parigi, all’Arts Center.
Questo è il vero
simbolo della professione/idea, a cui dedicherò quella piccola parte di vita
che mi resta.
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giovedì 29 settembre 2016
Articolo pubblicato su 100NOVE - Anno II - Numero 36 - 29 settembre 2016 - LA MIA PIAZZA CAIROLI E LA SUA MESSA IN SICUREZZA
Achille Baratta*
Quali sono i
compiti di un progettista? Semplice e nello stesso tempo complicato. Ricercare
sull’etica professionale e sfogliare l’alfabeto della rivoluzione culturale può
servire, spendere quasi niente, innovare, incuriosire e dare il massimo del
coefficiente costi-benefici. Andare a Piazza Cairoli a vederla circoscritta e
quasi crocifissa dalla intolleranza e dalla trascuratezza ti fa imprecare, ma a
che serve, forse è meglio progettare e proporre, per far uscire da quel sacco
di iuta che fa esclamare a chi ci guida: siamo alla sbaraglio.
Ormai da mesi
lavoro a questa ardita soluzione che vuole essere più che un progetto, un segno
grafico di 60 artisti e l’offerta di alcuni operatori nel campo della ceramica
artistica di Sicilia.
Una coniugazione
quasi infantile, ma difficile da percorrere, eppure la Regione Sicilia (www.regione,sicilia.it) si spende
molto bene e chiaramente descrivendo un semplice grafico d’artista per i social
media.
Un’opera d’arte
di strada per identificare i profili social che la Regione Sicilia ha attivato
per raccontare tutte le attività legate al Fondo Sociale Europeo Sicilia 2020,
scambiare contenuti e creare relazioni con i propri interlocutori web.
È la scelta che
ha operato il Comitato di sorveglianza dei procedimenti legati all’Fse Sicilia
2020 e ha individuato un’opera di Renato Hunto, un artista di strada di scuola
cubista che ha donato alla città di Palermo una bellissima opera dipingendola
sul muro di una piccola strada in un quartiere povero.
Una ragione in
più per valorizzare un’opera che con il suo linguaggio visivo esprime valori e
contenuti coerenti con lo stile che la Regione ritiene debba essere manifestato
dal Fse Sicilia 2020 anche nei media sociali. L’arte urbana è, infatti, una
forma di cultura vicina ai cittadini, proprio come intende essere
l’amministrazione, a diretto contatto con le persone.
L’opera di
Hunto, che è stata chiamata “Allegra” per i colori vivacissimi, attrae e rende
gli account dell’Fse Sicilia 2020 immediatamente riconoscibili, soprattutto ai
giovani, ma contemporaneamente li rende coerenti con il messaggio culturale che
il Comitato di sorveglianza del programma comunitario intende perseguire in
ogni sua azione di comunicazione.
Il dodici
settembre al Salone delle Bandiere del Comune di Messina ho presentato il
progetto redatto con la collaborazione di sessanta artisti che si dichiarano
disponibili presentando i relativi bozzetti inseriti nel progetto da collocare
in modo ordinato nella pavimentazione prevista in cemento colorato.
Poi le
osservazioni costruttive che sono nate nel dibattito mi hanno portato a
proporre una soluzione per mettere in sicurezza le pensiline e adornarle con le
opere direttamente regalate dagli artisti, poi un’altra soluzione molto
economica che prevede una spesa complessiva inferiore a 18.000 euro con
ripristino dell’attuale tavolato evidenziando che il realizzato è infiammabile
e difforme dallo strumento urbanistico.
E poi, infine,
una soluzione “allegra” con delle ceramiche siciliane che saranno donate
all’Amministrazione per impreziosire una piazza che finalmente potrà essere
tematica e allegra.
La spesa circa
80.000 euro, un decimo di quella di cui si chiede il finanziamento.
Nessuna proposta
sovversiva e irrazionale ma semplicemente una messa in sicurezza che produce
bellezza.
Non posso essere
io, i miei artisti o miei ceramisti disponibili a donare a darmi un voto.
Ma se
condividete date un segno, se siete contrari sparate, ma è proprio il silenzio
che uccide e non avere opinioni, oggi, non è possibile, specialmente quando si
tratta del cuore commerciale della tua città.
Il commercio non
è poi la chiave di volta di un’economia? Ma nel caso di una piazza è il simbolo
della città, che non va esportato o distorto per interessi paralleli che
tendono ad esaltare il brutto per mortificare una città che cerca le soluzioni
per sopravvivere o evitare che l’università chiuda per mancanza di allievi e
che continui l’epidemia di chi va a curarsi altrove.
Permetteteci,almeno,
di prenderci una granita di caffè con panna in una Piazza Cairoli ridente, che
con pochi euro diventi da ricettacolo d’immondizia una cosa semplicemente
“unica”.
Probabilmente un
progetto gratuito non vale niente, ma è fatto con amore!
* Ingegnere progettista
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