Il
sangue dei terroni sgorga imperituro da sempre
Achille
Baratta
Molti anni fa nell'occasione delle ricorrenze della morte di Cristo e della sua resurrezione
e della relativa Santa Pasqua, ho dipinto una tela con delle croci; la tela era
di notevoli dimensioni – metri due per quattro – ed era stata dipinta per
donarla, come tutte le mie opere, ma non venne accettata: le croci non
piacciono neanche nelle chiese, portano tristezza, al crocifisso siamo abituati
e lo accettiamo, ma le croci no! Sono sovversive!
Ora, mi viene
tra le mani uno strano libro che mette le croci in copertina, sono rosse e
vanno stranamente sovrapposte ad un’Italia informe, che viene rappresentata
dalla cintola in giù, compresa la Sicilia,ma in parte.
Non vuole
sottolineare che le Sicilie sono mille,ma solo il nostro sud e le nostre
condizioni sociali ed economiche della terra dei fuochi.
Dire terra dei
fuochi, per noi, è un compatimento perché i fuochi ormai li abbiamo abbandonati
da tanto tempo e adoriamo le ceneri, soprattutto quelle dei nostri morti
immolati in ogni tempo alla democrazia ora, ai reali sabaudi prima.
Nostri sono i
morti dell’ultima guerra e quelli della legalità e della illegalità; insomma,
noi siamo i veri portatori dei morti in croce che non piacciono perché ricordano
il nostro passato e il nostro presente.
Lorenzo Del
Boca, con la prefazione di Pino Aprile, scrive per Piemme un libro dal titolo
“Il sangue dei terroni”, e in quelle pagine ben scritte, documentate e ben
esposte ci spiega perché la maggioranza delle vittime della Prima Guerra
Mondiale,ma i nostri ragazzi del Sud, i nostri padri e nostri nonni a cui non è
stato dato neanche un grazie o, se lo è stato dato, è solo per tornaconto
politico.
Spesso i loro
nomi non sono neanche noti; allora i monumenti al nulla li chiamarono al
“Milite Ignoto”. Tutto ignoto e innominato per dimenticare che c’è una
differenza sostanziale tra l’eroe della beffa e la beffa dell’eroe.
E noi
rappresentiamo da sempre la beffa di un popolo emarginato delle infrastrutture
promesse e mai eseguite o, se eseguite, solo perché davano un ritorno
elettorale, un posto alla mafia degli appalti.
Il ponte sullo
Stretto, l’ultima beffa targata “Stato centrale” che lo ha appaltato con
relativo contratto che comporta l’erogazione del 10% per mancata realizzazione
ad un’impresa di “Stato centrale”, tutto è tagliato per quello Stato che nel
15-18 mandava i nostri ragazzi all’attacco, alla baionetta, non avevano altro,
“con fanfara, bandiere e trombe”.
Lo spettacolo e
il vino per avvinazzare, regolarmente tagliato, per avanzare sarebbe stato
necessario tagliare il filo spinato; ma mancavano le cesoie e il vivere, le
stesse vettovaglie non c’erano, tanto la carne da macello è bene che abbia le
budella vuote. “I più tanti sono rimasti sul filo spinato”. Era l’inferno
dell’appalto, che si prendeva fra il trenta e il cinquanta per cento dei
combattenti.
Nei nostri paesi
ancora restano le sale “I combattenti”: sono la beffa della beffa, l’ironia
della sorte le vuole vuote, rappresentano l’ombra dei nostri morti e dai morti
occorre allontanarsi; preferiamo le discoteche , là si dimentica e si sniffa
con l’autorizzazione di Stato che le ignora, un patto sociale che i morti li
dissemina all’uscita, nelle prime ore del sorgere del sole per scaramanzia o
per dare il buongiorno a noi, attoniti.
Tutto tace, le
croci non piacciono a destra, meglio i dolci e le leccornie; le pecore fatte di
zucchero non belano e il silenzio è d’oro.
Il salato non è
più di moda, fa male e poi ricorda le contravvenzioni salate che ora arrivano
anche con ripresa per circondati che lo Stato c’è e le pensioni non le aumenta,
ma fa bandire i mega appalti che le croci ce le hanno incorporate,sanno di
miele e di ananas, di porti che si insabbiano e drenano denaro con opere
tampone che non si possono rifiutare.
Non c’erano
proiettili, ma i soldati “abbondavano”.
“Ho tanto
bisogno di dormire; ho la sensazione di sentire sotto il corpo il morbido
giaciglio; osservo meglio; mi chino … orrore … ho dormito sopra un cadavere
austriaco … le mie mani … gli abiti .. tutto intriso di sangue umano, del
sangue del nemico morto”.
Ma la vera
differenza è che loro, in trincea, avevano almeno un nemico morto, noi non lo
abbiamo né vivo né morto, è invisibile. Combattiamo contro l’invisibile e nelle
giunte comunali e nei consigli comunali e nelle ex Province moriture, sono
nelle Regioni che non si sa perché ci sono, sono in noi vecchi e giovani, sono
nelle case e non possiamo bruciarle perché sono già cenere; allora che fare?
“Gli austriaci,
da pochi passi, spararono con la mitragliatrice e il soldato, approfittando
della sparatoria, lasciò partire due colpi di fucile, diretti alla schiena del
suo superiore”. Certamente un atto non dovuto, ma lui rispondeva indirettamente
agli ordini dei suoi governanti: “Colpire alle spalle” e da allora la regola
per i prossimi vent’anni diventò la regola della nostra democrazia che
raramente spara guardano in faccia il nemico: quello lo fa solo la mafia che
uccide con le stragi, con i veleni o semplicemente facendo suicidare il colpevole
o facendolo morire di quella morte bianca che non ha bisogno di croci, se non
quelle dei funerali che insieme ai mordenti sono sempre presenti laccate dei
colori bianco, rosso e verde.
Il verde ai
piedi per non dispiacere a chi, come la natura, anche sotto i crocifissi, il
simbolo del nostro Cristianesimo, in fondo siamo tutti fratelli e produciamo
futuro con i nostri imprenditori, tutti “Made in Cina” e gli austriaci?
Restano a
seminare civiltà come le nostre Regioni a Statuto Speciale che ci guardano con
ironia dall'alto re, sornioni, ridono delle nostre crocette, ma noi piangiamo
in silenzio e onoriamo le croci con devozione.
“Silenzio e
occhi bassi! A cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, le donne siciliane
godevano ancora dell’esclusivo e incontrastato privilegio di restare zitte. In
famiglia, giusto quando erano intèrpellate, rispondevano utilizzando un «voi»
onorifico. E, oltre il monopolio della procreazione dei figli – che non poteva
essere messo in discussione – era loro riservata la prerogativa di rompersi le
ossa, piegate in due, per lavorare praticamente senza interruzione da quando
spuntava il sole al momento del tramonto.
Ma, con
l’esplosione del conflitto mondiale, alzarono la schiena e si appropriarono
della parola.
La prima protesta
al femminile scoppiò a Collesano, nell'hinterland di Palermo.
Era l’undici
maggio 1915: martedì”.
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