venerdì 24 giugno 2016
giovedì 23 giugno 2016
CENTONOVE - Anno II - Numero 25 - 23 giugno 2016 - ATTI OSCENI IN LUOGO PRIVATO E ANCHE PUBBLICO
ATTI OSCENI IN LUOGO PRIVATO
E ANCHE PUBBLICO
Achille Baratta
Non abbiamo più
Marco Pannella, piango, mi accingo a scrivere della storia di Libero Marsell,
come personaggio “totale” che cresce con noi, pagina dopo pagina, nel libro
scritto da Marco Missiroli “Atti osceni in luogo privato” edito da Feltrinelli
e mi chiedo perché, a dispetto delle vanterie del Bel Paese, ricaviamo
dall’industria turistica meno della Germania e, soprattutto, perché le nostre
processioni si genuflettono costantemente non a Dio ma ai mafiosi e agli
stragisti? Non vogliamo assolutamente renderci conto che la poesia, la
letteratura, il paesaggio, il nostro patrimonio artistico sono il nostro
terreno petrolifero, la fonte inesauribile della nostra ricchezza futura, tutto
su una economia della cultura e della bellezza.
Di fronte a
fatti criminosi che discreditano il Paese parlare d’altro è superfluo, ma
probabilmente passare dalla copertina del libro di Missiroli per poi dalle
prime righe del libro ci può servire:
“Avevo dodici anni e un mese, mamma riempiva i
piatti di cappelletti e raccontava di come l’utero sia il principio della
modernità. Versò il brodo di gallina e disse – impariamo dalla Francia con le
sue ondate di suffragette che hanno liberalizzato le coscienze”.
Poi un riferimento
secco al sesso orale, la crepa fu questa.
“Mamma lo fissò, Non ti azzardare più davanti al
bambino, le sfuggì il sorriso triste. Lui continuò a raffreddare i cappelletti
e aggiunse – sono una delle meraviglie del cosmo”.
La storia di un
ragazzo per diventare uomo deve passare dall’infanzia, dall’adolescenza, dalla
giovinezza fino alla maternità passando dalla nascita. Questo tornare indietro
alla nascita nella parte finale mi porta a riflettere sul nostro Paese e mi
chiedo se ancora deve nascere, e quando arriveremo alla maturità della civiltà
e, soprattutto, ne saremo degni? Forse le riflessioni di Libero sono le nostre:
“L’ultimo anno e mezzo aveva cambiato il mio
cervello: la collusione sentimentale e il sesso avevano invaso di endorfine i
neuroni, che diventarono scaltri. All’intraprendenza intellettuale aggiunsi
l’incoscienza: durante gli esami universitari mi presentavo con minor
preparazione e suprema audacia. Il secondo anno andò meglio del primo. La
placidità resisteva anche se in ostaggio del coito: qui davo voce alla
contraddizione. Lo chiamavo Il lato insospettabile. Ebbi una prima avvisaglia
la sera che vedemmo «Il colore viola» di Spielberg. Tornammo a casa in
silenzio, la tenevo stretta pensando ai soprusi patiti da Celie e all’affanno del
riscatto. Mentre scopavamo per lenirci dalle ingiustizie del film emerse
l’insospettabilità. Lei era a pancia sotto, io la prendevo aggrappandomi ai
fianchi, dal niente le schiaffeggiai il sedere. Colpii a mano aperta, ancora,
Lunette alzò un pugno per dirmi di calmarmi e quel punto sussurrai Zitta negra.
Dissi così: Zitta negra, e la forzai a terra. Lei si voltò di scatto, mi
fissava. Sapeva, e sapevo anche io, che stavo perdendo del tutto la purezza”.
Poi la morte
della madre e le riflessioni di Libero:
“Quando nel romanzo di Faulkner Addie Bundren morì,
con lei se ne andarono i significati delle parole che aveva insegnato alla sua
famiglia. «Maternità» l’aveva riempito con la dedizione ai figli, «sacrificio»
con la tenacia con cui aveva sopportato un marito che detestava, «salvezza» con
la rettitudine verso Dio e verso gli altri esseri umani, «passione» con un
legame adultero indimenticabile. A «terra» aveva dato il significato sacro:
ecco perché aveva chiesto una bara e un ultimo viaggio per essere seppellita
nel punto dove voleva essere seppellita. Di parole ce n’erano molte altre, se
le portò via tutte. Rimasero vuoti che i suoi orfani pronunciavano al vento.
Era l’omaggio di Faulkner all’utero”.
Poi la
paternità, e infine un’ultima riflessione: chi sono i nostri padri?
Eppure la
risposta è sempre attuale: i nostri padri e i loro cognomi sono i nostri perché
il Paese non sa cambiare i cognomi, sono sempre quelli che per generazioni ci
accompagnavano nel potere, nel sottopotere e nella miseria della mafia che ci
coinvolge, ci distrugge e ci soffoca con atti osceni di morte bianca e nera con
tinteggiature di rosso in luogo pubblico col placet di chi ci tutela soltanto a
parole guardando solo alla pelle delle chiese e di palazzi che sono tanto alti
che non permettono di vedere i cittadini che in lontananza perdono entità così
come gli atti osceni che da osceni diventano prodotto di importazione o di
sopportazione di un Paese che ancora deve nascere. I risultati elettorali di
questa ultima tornata lo dicono chiaro.
Un grazie lo
devo a Marco Missiroli perché almeno ci ha insegnato come suo padre lo ha
educato all’amore e alla vita attraverso i libri e anche una bibliotecaria ha
da dire qualcosa e che anche alcuni atti erotici, che facciamo abitualmente
senza dargli quella importanza che meritano possa essere una spinta a superare
il nostro muro di ipocrisia per dare a Cesare quel che è di Cesare e al Paese
quello che vuole disconoscere per ignoranza o per il rendiconto mafioso che poi
si chiama corruzione e incapacità a tutti i livelli.
Per nostra
natura non possiamo generare col fondo schiena, la schiena serve ad altro, o a
che cosa non ve lo dico.
In questa Italia
in cui avviene tutto al rallentatore oltre a imparare come calzare un
preservativo dovremmo ricordarci che i figli si possono fare anche con le
scarpe ai piedi e che il letto è un ripiego di quelli che gli atti osceni non
li praticano se non in luogo aperto, alla luce del sole.
Andare in bianco
la nostra passione preferita.
“Fai in modo di dare ad Alessandro il significato
del tuo nome, Libero. È tutto lì, mio ometto di mondo”.
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venerdì 10 giugno 2016
Qualche foto del dibattito pubblico al Salone delle Bandiere del Comune di Messina - Metropolitana leggera dello Stretto - Progetto olistico - Ingg. Achille Baratta - Massimo Majowiecki
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giovedì 9 giugno 2016
CENTONOVE - Anno II - Numero 23 - 9 giugno 2016 - I PILONI, IL PASSATO E LA NOSTRA VERGOGNA SULLO STRETTO DI MESSINA
I PILONI, IL PASSATO E LA NOSTRA VERGOGNA SULLO
STRETTO DI MESSINA
* Achille Baratta
Progettando,
progettando il futuro dello Stretto di Messina con una metropolitana aerea, mi
sono dovuto concentrare sullo stato attuale delle due sponde in cui troneggiano
due ruderi metallici da vertigini per la loro bruttezza, sono lì, senza
destinazione e non uso, non servono a niente, eppure li sopportiamo da sempre,
nel silenzio del nostro inconscio collettivo dimenticando che sono diventati il
simbolo dell’incuria e della disperazione del nostro Sud.
Il segno di due
regioni, che si guardano e non si parlano.
Il nostro
sindaco, ambientalista intransigente a oltranza, il suo pilone a Capo Peloro
non lo ha mai visto, il suo dirimpettaio di Villa San Giovanni non ne parla.
Quando si
dibatteva del Ponte delle burle, si videro i pesci morire sotto l’ombra
dell’impalcato e gli uccelli diedero voce e mandato a chi li ha sempre amati e
difesi perché non si attentasse alla loro vita.
Lo stesso
ingegnere Capo dell’ufficio del Genio Civile e il dirigente della Protezione
Civile di entrambe le sponde non si sono mai chiesti che fanno questi ammassi
di ferro vecchio sulle nostre sponde? E garantiscono la sicurezza in un
territorio sismico?
Poi, un concorso
di progettazione architettonica dove si osannò a questi morti in piedi e
qualcuno ci mise il cappello.
Ora viene il
dubbio, che forse sono talmente belli e colorati che fanno parte dell’ambiente
e che sia Scilla che Cariddi si alzassero dalla tomba se qualcuno gli dicesse
andate, scomparite, non fatevi vedere più.
Poi nasce il
problema di chi è il proprietario ed è normale in un paese normale che viene un
ente di Stato costruisce un elettrodotto, lo mette in funzione e poi lo
dismette, quasi in silenzio, lasciandoti due regalini mastodontici ed insicuri
che svettano al vento col beneplacito di tutti.
Andateci vicino
e vi accorgerete che le immagini che rilevate con la vostra macchina
fotografica o, più semplicemente, col vostro telefonino sono da orrore, di
ritorno in quella giungla in cui gli alberi si sono sostituiti con le armature
che non sorreggono niente e non servono a niente, sono solo l’emblema della
nostra povertà mentale, del nostro ambientalismo ipocrita, della nostra
arretratezza, del nostro abbandono.
Nessuno delle
migliaia di iscritti agli albi professionali specifici di architettura e di
ingegneria delle due sponde ha mai gridato di dolore, gli stessi atenei, che
resteranno presto senza studenti, ha mai pensato che è l’ora di rottamare
questi mostriciattoli dello squallore e ricavarne ferro vecchio da venderli e
per fare cassa, la moltitudine non sa, non vede e soprattutto non sente.
Ulisse si tappò
le orecchie, ma i nostri ambientalisti si sono messi gli occhiali così scuri
che non vedono più il sole che sorge e anche quello che tramonta; tutto è
caduco, tutto è scontato, hanno detto “NO PONTE” ed hanno chiuso con l’ironia
della sorte: questo no, ci costa 700 milioni di euro che dobbiamo pagare a chi
si è appaltata l’opera.
Ma l’importante
è dire sempre no, questo è il motto della nuova rivoluzione che vuole tutto
nuovo e tutto da rifare.
Loro non
propongono, non sanno, guardano il volo degli uccelli e ci comunicano quando
qualche ala si spezza. Ma mia madre diceva, guardano la pagliuzza negli occhi
degli altri ma non vedono la loro trave.
E queste travi
sono molte e mal connesse e piene di ruggine, ma illuminate, fra poco ci
metteranno un Padre Pio sulle vette, la Madonna della Lettera, va isolata e
combattuta e la benedizione va tornata insieme a quella missiva che è la nostra
tradizione e il nostro credo.
Poi i laici
propongono di fare diventare queste diavolerie ricovero per Mata e Grifone.
In fondo loro
sono i nostri progenitori e un ricovero stabile in due punti strategici se la
meritano.
Andare a
fotografare lo Stretto da entrambi i lati è molto divertente, ma ad una
condizione non alzare mai gli occhi vero i mostri sacri.
La sacralità
dello schiaffo è finita; c’è chi ci mette l’altra guancia, pensa al guanciale o
al cotechino, quella sì che è una meraviglia del gusto, non è forse il maiale
il più saporito degli animali; ora qualcuno puzza di asino, ci siamo evoluti,
ma gli asini restano asini anche se appartengono alla parte terminale
dell’Italia e alla porta della Sicilia che è sempre più chiusa ai venti
dominanti.
Di tutti gli
specialisti dell’energia voltaica ed eolica che contraddistinguono la nostra
economia, nessuno ha pensato che almeno la spesa per illuminarli si può
produrre con pochi elementi eolici di nuova generazione.
A loro piacciono
molto i coni di gelato e le granite con la brioche, quegli elementi che ci
gratificano e ci tolgono il piacere di separare nettamente il bello
dall’offesa.
Vi chiedo scusa,
ma guardate queste immagini e ditemi come ci chiamiamo o come ci chiameranno
quelli che verranno nel nostro meraviglioso Stretto caratterizzato dai
paradigmi della Torre Eiffel chiamandolo col loro vero nome.
Ma andiamo
sempre col cappello in mano, leggiamo e accettiamo solo il nuovo che produce e
dà reddito, il resto è truffa.
Forse
occorrerebbe andare a ritroso negli archivi e vedere chi li ha autorizzati e
per quale motivo.
E se il motivo
non c’è più non occorre proporre almeno il cambio della destinazione d’uso. Ma
chi la chiede e chi la vuole? I nostri giornali dopo i fatti di Licata
strombazzarono contro l’abusivismo.
A Messina le
baracche fanno parte della storia e sono extraurbane, non ci sono, non si
vedono, fanno parte del paesaggio. Anche noi siamo parte di un paesaggio
vecchio e antico, dove tutto è sacro e intoccabile, specialmente se ti mettono
una bombetta regalo e noi regali non ne accettiamo, ad eccezione del caffè,
quello è permesso a tutti, anche a quelli che sono stati beccati dalla fortuna
di erigersi a difesa della loro natura, dimenticando che quella appartiene a
tutti.
In definitiva i
mostri non sono destinati ad abitazioni e, quindi, che c’entrano con l’urbanistica,
quella è cosa da specialisti del settore che ogni giorno lottano contro
l’abusivismo urbano ed extraurbano, specialmente perseguendo i balconi, quelli
possono cadere e sono nella necessità collettiva a cui è difficile negare una
autorizzazione.
A Cesare quel
che è di Cesare a Don Peppino quello che è suo; in definitiva nel nome è il
padre di Cristo.
E noi siamo,
soprattutto, cristiani e credenti, il resto non ci interessa, chi “semu fissa”?
Vai a Maregrosso
e scialati, là c’è l’aria pura e la fognatura a cielo aperto che rinfresca e
nutre gli uccelli, questa è vita.
*
Ingegnere/progettista
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