giovedì 9 giugno 2016

CENTONOVE - Anno II - Numero 23 - 9 giugno 2016 - I PILONI, IL PASSATO E LA NOSTRA VERGOGNA SULLO STRETTO DI MESSINA

I PILONI, IL PASSATO E LA NOSTRA VERGOGNA SULLO STRETTO DI MESSINA
 * Achille Baratta
Progettando, progettando il futuro dello Stretto di Messina con una metropolitana aerea, mi sono dovuto concentrare sullo stato attuale delle due sponde in cui troneggiano due ruderi metallici da vertigini per la loro bruttezza, sono lì, senza destinazione e non uso, non servono a niente, eppure li sopportiamo da sempre, nel silenzio del nostro inconscio collettivo dimenticando che sono diventati il simbolo dell’incuria e della disperazione del nostro Sud.
Il segno di due regioni, che si guardano e non si parlano.
Il nostro sindaco, ambientalista intransigente a oltranza, il suo pilone a Capo Peloro non lo ha mai visto, il suo dirimpettaio di Villa San Giovanni non ne parla.
Quando si dibatteva del Ponte delle burle, si videro i pesci morire sotto l’ombra dell’impalcato e gli uccelli diedero voce e mandato a chi li ha sempre amati e difesi perché non si attentasse alla loro vita.
Lo stesso ingegnere Capo dell’ufficio del Genio Civile e il dirigente della Protezione Civile di entrambe le sponde non si sono mai chiesti che fanno questi ammassi di ferro vecchio sulle nostre sponde? E garantiscono la sicurezza in un territorio sismico?
Poi, un concorso di progettazione architettonica dove si osannò a questi morti in piedi e qualcuno ci mise il cappello.
Ora viene il dubbio, che forse sono talmente belli e colorati che fanno parte dell’ambiente e che sia Scilla che Cariddi si alzassero dalla tomba se qualcuno gli dicesse andate, scomparite, non fatevi vedere più.
Poi nasce il problema di chi è il proprietario ed è normale in un paese normale che viene un ente di Stato costruisce un elettrodotto, lo mette in funzione e poi lo dismette, quasi in silenzio, lasciandoti due regalini mastodontici ed insicuri che svettano al vento col beneplacito di tutti.
Andateci vicino e vi accorgerete che le immagini che rilevate con la vostra macchina fotografica o, più semplicemente, col vostro telefonino sono da orrore, di ritorno in quella giungla in cui gli alberi si sono sostituiti con le armature che non sorreggono niente e non servono a niente, sono solo l’emblema della nostra povertà mentale, del nostro ambientalismo ipocrita, della nostra arretratezza, del nostro abbandono.
Nessuno delle migliaia di iscritti agli albi professionali specifici di architettura e di ingegneria delle due sponde ha mai gridato di dolore, gli stessi atenei, che resteranno presto senza studenti, ha mai pensato che è l’ora di rottamare questi mostriciattoli dello squallore e ricavarne ferro vecchio da venderli e per fare cassa, la moltitudine non sa, non vede e soprattutto non sente.
Ulisse si tappò le orecchie, ma i nostri ambientalisti si sono messi gli occhiali così scuri che non vedono più il sole che sorge e anche quello che tramonta; tutto è caduco, tutto è scontato, hanno detto “NO PONTE” ed hanno chiuso con l’ironia della sorte: questo no, ci costa 700 milioni di euro che dobbiamo pagare a chi si è appaltata l’opera.
Ma l’importante è dire sempre no, questo è il motto della nuova rivoluzione che vuole tutto nuovo e tutto da rifare.
Loro non propongono, non sanno, guardano il volo degli uccelli e ci comunicano quando qualche ala si spezza. Ma mia madre diceva, guardano la pagliuzza negli occhi degli altri ma non vedono la loro trave.
E queste travi sono molte e mal connesse e piene di ruggine, ma illuminate, fra poco ci metteranno un Padre Pio sulle vette, la Madonna della Lettera, va isolata e combattuta e la benedizione va tornata insieme a quella missiva che è la nostra tradizione e il nostro credo.
Poi i laici propongono di fare diventare queste diavolerie ricovero per Mata e Grifone.
In fondo loro sono i nostri progenitori e un ricovero stabile in due punti strategici se la meritano.
Andare a fotografare lo Stretto da entrambi i lati è molto divertente, ma ad una condizione non alzare mai gli occhi vero i mostri sacri.
La sacralità dello schiaffo è finita; c’è chi ci mette l’altra guancia, pensa al guanciale o al cotechino, quella sì che è una meraviglia del gusto, non è forse il maiale il più saporito degli animali; ora qualcuno puzza di asino, ci siamo evoluti, ma gli asini restano asini anche se appartengono alla parte terminale dell’Italia e alla porta della Sicilia che è sempre più chiusa ai venti dominanti.
Di tutti gli specialisti dell’energia voltaica ed eolica che contraddistinguono la nostra economia, nessuno ha pensato che almeno la spesa per illuminarli si può produrre con pochi elementi eolici di nuova generazione.
A loro piacciono molto i coni di gelato e le granite con la brioche, quegli elementi che ci gratificano e ci tolgono il piacere di separare nettamente il bello dall’offesa.
Vi chiedo scusa, ma guardate queste immagini e ditemi come ci chiamiamo o come ci chiameranno quelli che verranno nel nostro meraviglioso Stretto caratterizzato dai paradigmi della Torre Eiffel chiamandolo col loro vero nome.
Ma andiamo sempre col cappello in mano, leggiamo e accettiamo solo il nuovo che produce e dà reddito, il resto è truffa.
Forse occorrerebbe andare a ritroso negli archivi e vedere chi li ha autorizzati e per quale motivo.
E se il motivo non c’è più non occorre proporre almeno il cambio della destinazione d’uso. Ma chi la chiede e chi la vuole? I nostri giornali dopo i fatti di Licata strombazzarono contro l’abusivismo.
A Messina le baracche fanno parte della storia e sono extraurbane, non ci sono, non si vedono, fanno parte del paesaggio. Anche noi siamo parte di un paesaggio vecchio e antico, dove tutto è sacro e intoccabile, specialmente se ti mettono una bombetta regalo e noi regali non ne accettiamo, ad eccezione del caffè, quello è permesso a tutti, anche a quelli che sono stati beccati dalla fortuna di erigersi a difesa della loro natura, dimenticando che quella appartiene a tutti.
In definitiva i mostri non sono destinati ad abitazioni e, quindi, che c’entrano con l’urbanistica, quella è cosa da specialisti del settore che ogni giorno lottano contro l’abusivismo urbano ed extraurbano, specialmente perseguendo i balconi, quelli possono cadere e sono nella necessità collettiva a cui è difficile negare una autorizzazione.
A Cesare quel che è di Cesare a Don Peppino quello che è suo; in definitiva nel nome è il padre di Cristo.
E noi siamo, soprattutto, cristiani e credenti, il resto non ci interessa, chi “semu fissa”?
Vai a Maregrosso e scialati, là c’è l’aria pura e la fognatura a cielo aperto che rinfresca e nutre gli uccelli, questa è vita.

* Ingegnere/progettista




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