giovedì 4 agosto 2016

CENTONOVE - Anno II - Numero 31 - 4 agosto 2016 - PASSAGGIO IN SICILIA

PASSAGGIO IN SICILIA TRA BAGHERIA E CEFALÙ
PASSANDO DA RENATO GUTTUSO

Achille Baratta

Mio padre, ing. Vincenzo, oltre ad essere un ottimo strutturista era un uomo colto e quindi la nostra casa era sempre piena di libri.
Guido Piovene col suo “Viaggio in Italia”, nella sua prima edizione Arnoldo Mondadori del 1957, era presente con numero dei 999 esemplari ed io ragazzo innamorato più del modo di scrivere che dei contenuti, mi coricavo e mi addormentavo con questo libro tra le braccia.
Ora ho comprato un altro testo completamente diverso che nonostante la mia età, mi ha affascinato. È un viaggio che parte da Quarto per sbarcare in Sicilia, l’autore è Massimo Onofri, che diventa uno dei garibaldini e ci racconta “Passaggio in Sicilia” per l’editore Giunti.
Pensavo che fosse una barba, invece è un vocabolario di citazioni e di emozioni che oscillano tra “Palermo non esiste”, “a cena da Don Mariano”, “nel regno della mafia”, “Da Bagheria a Cefalù”, “San Mauro Castelverde”, “Polizzi Generosa”, “Marsala”, “Mazara del Vallo”, “Enna”, “Licata e Gela”, “Comiso”, “Siracusa”, “Catania”, “senza Messina e poi ritorno ad Alghero”.
Scrivere dei contenuti e delle riflessioni letterarie che partono dalla storia di Mondello e del suo premio, per poi guardare oltre tra prosodia, sortilegio e miraggi, è certamente molto interessante e, non solo affascinante.
Ma in questa recensione voglio mettere l’accento solo su un capitolo: Da Bagheria a Cefalù: pittori, porti e marinai e io aggiungo carrettieri e ristoratori “Don Ciccio” e a Zza Maria.
E scrive: Siamo a Bagheria: impossibile per me, non tornarci. Troppe cose, quel paese, rappresenta: i quadri di Guttuso; i versi di Ignazio Buttitta; le straordinarie fotografie in presa, diretta di Ferdinando Scianna; “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore, che commosse Sciascia nei suoi ultimi mesi di vita. Ma, soprattutto, la «farnetica» villa dei Mostri.
Certamente interessante quando racconta di Renato Guttuso: Il quale, non avendo avuto discendenti, ne ha adottato il figlio Fabio, allora trentaduenne, a soli otto giorni di distanza dalla morte della moglie Mimise. Dico Fabio: che festeggia il compleanno proprio nel giorno in cui Guttuso è morto. Ma più di tutte, a me è cara mamma Ginevra, donna di rarissimo fascino e di grande temperamento, che ho incontrato per prima, non so più quanti anni fa se a Palermo o sulle Madonie, a un convegno su Giuseppe Antonio Borgese, dove mi parlò di Marco, che è quasi mio coetaneo. Poi li ho conosciuti tutti: dentro un’amicizia sempre più nutritiva.
Per capire che uomo sia stato Marcello Carapezza, vale forse la pena di citare un dibattito che fece molto scalpore in Italia nel 1983, quando, sull’Etna, una celata lavica incombeva minacciosamente sul paese di Nicolosi. Marcello Carapezza propose di agire con l’esplosivo, per deviare appunto il magma e salvare così il paese.
Ma il vero protagonista è Fabio che secondo l’autore è così descritto: Fabio è prefetto: ma la sua vera vocazione si giuoca tutta nel promuovere l’opera di Guttuso nel migliore dei modi. Mai adozione fu più indovinata di quella di Fabio: basterebbe pensare a quanto sia stato sfortunato il mio grande amico e maestro Luigi Baldacci. Fabio, invece, ha provveduto ad accrescere e valorizzare il grande patrimonio ereditato, e non certo a fini personali: ha fondato gli archivi Guttuso, la cui sede è nel palazzo del Grillo a Roma, quello dove hanno vissuto l’ottocentesco marchese interpretato da Alberto Sordi e, appunto, Guttuso; ha integrato la collezione del museo di Bagheria intitolato al pittore con molte delle Opere ereditate; ha promosso di continuo mostre e pubblicazioni, da ultimo un volume, stampato nei Classici Bompiani, ove sono raccolti tutti gli scritti di Guttuso, davvero sorprendenti, per cui ho scritto la prefazione. Ma la storia più singolare, e per me più affascinante, è quella di Attilio, il figlio maggiore, che ha avuto un’importante carriera di anglista all’Università di Palermo e che ora, in pensione, può finalmente dedicarsi a tempo pieno all’altra sua grandissima passione: lo studio degli insetti, soprattutto gli eterotteri, comunemente noti col nome di cimici.
Ma a proposito di cimici, di mosche e di farfalle, come non ricordare a proposito di Guttuso, Marta Marzotto nel suo “Smeraldi a colazione”, quando riporta una filastrocca che il maestro aveva scritto per lei: “Marta Martina/ notte e mattina/ giunco regina/ Marta mondina/ arma marina/ Marta di spuma/ l’onda ti consuma/ Marta bambina/ nube e regina/ Marta ragazza/ saggia e pazza/ Marta acqua bionda/ pena profonda/ Marta lontana/ pena inumana/ Marta divisa/ certa e indecisa/ Marta ha due amori uno dentro, uno fuori Marta assediata/ nel sonno svegliata/ Marta sfinita/ pernice ferita/ Marta in soffitta/ spada trafitta/ Marta sorriso/ cuore diviso/ Marta ridente/ per tanta gente/ Marta alle mani coi pescecani/ Marta adorata/ pensata amata/ Marta cometa/ l’uomo si disseta/ Marta impossibile/ vita terribile/ Marta pensiero/ del prigioniero”.
Marta Marzotto dopo aver descritto mille giorni di felicità ci racconta del funerale di Renato Guttuso.
Non è questa la vera sintesi di un pittore di carretti che dipingendo, scrivendo e amando anche in sordina, cambia la pittura a se stesso, diventando il vero simbolo di un’epoca.
Mi sono arrogato il diritto di scrivere di “Un passaggio in Sicilia” monco, ma come scrive la contessa Marta: “Mafai definì Guttuso un comunista anomalo ma allo stesso tempo fedelissimo al Pci: «Io sono convinta che la sua fedeltà, così esibita, persino ostentata, nei confronti del Pci avesse un’altra motivazione: era lo scotto che egli pagava a se stesso, non ad altri, per la sua vita fastosa, per quel vivere da gran signore, in modo generoso dissipato superbo, che gli era connaturato e indispensabile». Diceva Guttuso nel racconto della Mafai: «Bevo solo whisky e champagne». E ammetteva: «Ho bisogno di avere sempre una forte somma di danaro in tasca (come Sartre, del resto, che non usciva mai di casa, ai suoi tempi, senza avere addosso almeno un. milione)»”.
Dite che sono storie che possono essere solo vissute dai  Siciliani e noi siciliani vogliamo restare senza dimenticare la mafia e le banche.






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