venerdì 28 luglio 2017

Articolo su 100NOVE PRESS - Anno n. III - n. 30 - 27 luglio 2017 - I MILLE GIORNI DI MATTEO RENZI






Mercoledì 13 luglio 2017 e il rottamatore diventa autore e per il suo libro è presente nelle librerie d’Italia. Poi va da Mentana e si confessa, noi partecipiamo a questo parto-culturale e ne sentiamo la sofferenza molto da lontano, perché qui nella nostra isola bruciata il libro arriva  nelle librerie solo venerdì 14 luglio , ma spazzatura di qualche giorno in fondo noi siamo al di qua dello Stretto e quindi siamo tra il fuoco e le onde del mare, Circe canta e noi non la sentiamo, non perché abbiamo le orecchie otturate ma perché Circe deve ancora arrivare.
Dobbiamo accontentarci di avere notizie di seconda mano o ancora di più i retroscena. Massimo Franco sul “Corriere della Sera” del  13 luglio 2017 scrive: «La metafora della “tenda” sta diventando pericolosamente  virale. Da quando Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo, ex premier ed ex presidente della commissione europea, ha raccontato di avere piantato una tenda simbolica vicino al Pd, intorno al partito di Matteo Renzi è spuntato un vero e proprio camping La convinzione è che se dovesse prevalere la spinta a escludere le minoranze e dunque a facilitare un altro strappo, non esisterebbe più il Pd. L’uscita di Orlando potrebbe portare con sé quasi per inerzia quella di Franceschini e dell’altro ministro, Graziano Delrio, finora leali alleati del segretario. Prodi pianterebbe la sua “tenda” sempre più lontano dal Pd. L’incontro di ieri a Bologna con Pisapia e Orlando può essere visto come una conferma.
La somma di questi corpo a corpo non promette riconciliazioni, semmai strappi progressivi. Ma l’esito prevedibile è che alla fine non ci sarebbero più il partito, opposto agli scissionisti entrati nell’orbita della nebulosa di Pisapia: ci sarebbe la metamorfosi renziana di ciò che resta del Pd, e dall’altra parte un nuovo Ulivo.
Il “camping” diventerebbe un vero agglomerato con ambizioni e consistenza almeno pari a quelli del partito d’origine. Ma Renzi, se vuole, è ancora in tempo per impedirlo. Il problema è questo: se vuole».
Poi ci sono i fuori onda:
“Poche parole a margine dell’intervista con Enrico Mentana su La7. Per esprimere «solidarietà a Salvini». Anche se, precisa il segretario dem Matteo Renzi «non parlo di queste cose, sono fatti privati». I fatti sono quelli relativi alle immagini di Elisa Isoardi pubblicate dal settimanale “Chi”. La conduttrice tv, compagna del leader leghista Matteo Salvini da circa un anno e mezzo, è stata fotografata mentre bacia un altro uomo a Ibiza. Salvini e Isoardi in passato avevano anche accennato alla possibilità di sposarsi”.
Poi ancora Massimo Franco parla di progetti e di prospettive occulte di fine estate di un segretario che nella sua toscanità vuole archiviare rottamandolo col nome di Matteo: «in questo caso la prospettiva, a sentire gli avversari, sarebbe di un segretario tentato a fine estate di archiviare il Pd per lanciare in modo esplicito il proprio partito. Una forza agile, fedele, magari intorno al 15-20 per cento ma in grado di far valere il proprio peso nelle trattative per il governo, in un Parlamento senza maggioranza: sebbene a “Bersaglio mobile”, su La7, Renzi abbia ribadito di volere il 40 per cento “per governare da soli”; e dal vertice si smentisca qualunque ipotesi di scissione e si ricordi che a ottobre si celebrerà il decennale della fondazione del Pd: un’occasione per ricucire, non per lacerare. Il problema sarebbe solo di evitare “un congresso permanente” e di rimettere in discussione una strategia e una leadership».
Il nostro quotidiano locale riferisce da Roma con uno scritto di Cristina Ferulli scrivendo che:
«Guarda “Avanti” ma sancisce  una rottura definitiva del passato il libro con cui  Matteo  Renzi riparte dopo la sconfitta del 4 dicembre: il leader nega che il suo arrivo a Palazzo Chigi sia avvenuto con un “golpe” ai danni di Enrico Letta, rovesciando la responsabilità sul Pd e ironizzando sulla “modalità broncio” del suo predecessore nel famoso passaggio della campanella. Una versione senza sconti, condita da frecciate ad un governo “di cui nessuno ricorda niente tranne l’aumento dell’Iva”, alla quale Letta replica con poche ma nette parole di “disgusto” per “ennesime scomposte provocazioni”.
Dice di aver scritto il libro da solo, “senza ghost writer”, il leader Pd. E si vede. 235 pagine, pubblicate con Feltrinelli, in cui Renzi racconta i suoi Mille Giorni al governo con passione, entusiasmo ma anche con quella vis polemica che i suoi critici hanno sempre definito arroganza. Tornano dopo le dimissioni spinto “dalle 26 mila mail” di chi gli diceva di non mollare -  a loro è dedicato il libro -, il segretario dem guarda al futuro, pur assicurando di non “avere l’ossessione” di tornare al governo.  E se la proposta all’Europa per portare il deficit al 2,9% per 5 anni “dando 30 miliardi all’anno per la crescita” come la “svolta” sui migranti è stata anticipata nei giorni scorsi, l’ex premier tiene invece in serbo, per raccontare il libro nel giorno del debutto in libreria, soprattutto le parti polemiche.
L’idea del libro, d’altra parte, era nata proprio dalla volontà di ricostruire la scalata a Palazzo Chigi. “L’idea che si sia trattato di una coltellata alle spalle è una fake news –scrive Renzi – come se Letta fosse stato usurpato di chissà quale investitura democratica o popolare” e invece “l’unica volta in cui Enrico si era candidato alle primarie, nel 2007, aveva raccolto la miseria dell’11% dei voti. È la “democrazia, bellezza”, è invece la versione dell’ex sindaco di Firenze che rivendica l’affettuosità dell’“Enrico stai sereno” e dice che lo rifarebbe. Il Pd “ha semplicemente deciso di cambiare cavallo” e Letta, a suo avviso, invece di prendere atto decide “di fare la parte della vittima che funziona sempre in un paese in cui si ha più simpatia per chi non ce la fa che per chi ci prova».
Poi l’autrice, che possibilmente non ha avuto il tempo di leggere il libro, conclude:
“Ma ci sono i momenti in cui sono i gesti a contare più delle parole. Poi ci sarebbero le pernacchie ma quelle sono sonore e non visive e quindi oscene.
 Ma la vera oscenità è che il libro arriva in una città bruciata solo il 14 luglio 2017, quando tutto il clamore è scomparso, così come sono scomparsi i nostri boschi.
Il villaggio di Stepancikovo di Dostoevskij è molto lontano ma tutto ritorna: Falaley era straordinariamente bello: il suo viso era come quello di una graziosa contadinella, la generalessa lo coccolava e lo viziava, trattandolo come un giocattolo prezioso”.
E poi aggiunge: è quasi una cagnetta.
Questi autori classici, sono fuori della nostra attualità ma quasi sempre ci azzeccano e se tutto il tema del libro fosse per dire soltanto io non sono un giocattolo o una cagnetta – ma un uomo!
Ma essere uomo è un’affermazione monca, bisogna aggiungerci un aggettivo indispensabile: libero.
Ma nella nostra città bruciata e svuotata di ogni contenuto anche questo aggettivo è fuori dalle righe: non abbiamo industrie, viviamo o moriamo non interessa a nessuno, gli appalti sono portati per mano, così tutto quello che ci circonda perfino le granite, tutti lo sanno ma nessuno lo dice.
Qua siamo tutti rottama tori e quelli che non hanno voluto aderire alla mattanza condannati al carcere preventivo.
Il rottamatore si occupa, bontà sua, del nostro Franco Antonio Genovese: scusatio non petita accusatio manifesta. Letta dice un caso di schizofrenia io dico un caso di malasanità.
Venerdì 14 luglio su “La Repubblica” Claudio Tito scrive:
“Basta vedere quel che sta accadendo in questi giorni. Non solo il segretario del Pd Matteo Renzi ha scritto un libro con la apparente intenzione di menare fendenti a destra e a manca anziché provare a ordinare le idee per una eventuale rivincita elettorale”.
Ad una seria notazione e non rottamazione l’autore non diventi gladiatore del babbo lasciando fuori la madre. Aspettiamo la super rottamazione che purtroppo fa rima con rivoluzione per carestia e per sete.
Ma non voglio sembrare un profeta di cattivo augurio e concludo con le parole dell’autore.
Nell’introduzione del libro il vate premette che si tratta di una storia strana e conclude:
«Ai ragazzi che incontravo da presidente del Consiglio in carica ho ripetuto più volte: “Se ce l’ho fatta io, ce la può fare chiunque di voi”. Loro si mettevano a ridere.. Ma io ero serio. E lo sono tuttora: se il paese più istituzionalmente gerontocratico si pemette di dare le chiavi del palazzo per tre anni a un under 40 venuto dal nulla significa che tutto è veramente possibile. Bisogna crederci, però, avere l’ardire di provarci. Non lasciare che i professionisti del “si è sempre fatto così” abbiano ancora la meglio. Tutto può cambiare, io ci credo ancora. Anzi, dopo quello che ho visto, ci credo ancora di più.
Non ci interessa cambiare l’immagine per gratificare il nostro ego. Noi vogliamo cambiare l’Italia per i nostri figli.
E questa Italia la cambieremo. Andando avanti, insieme».
Ma siamo sicuri di questa affermazione?
Lo vedremo alle prossime elezioni!

Il ponte dello Stretto di Messina al prossimo giro lo scrittore o il demolitore?