Mercoledì 13 luglio 2017 e il rottamatore diventa
autore e per il suo libro è presente nelle librerie d’Italia. Poi va da Mentana
e si confessa, noi partecipiamo a questo parto-culturale e ne sentiamo la
sofferenza molto da lontano, perché qui nella nostra isola bruciata il libro
arriva nelle librerie solo venerdì 14
luglio , ma spazzatura di qualche giorno in fondo noi siamo al di qua dello
Stretto e quindi siamo tra il fuoco e le onde del mare, Circe canta e noi non
la sentiamo, non perché abbiamo le orecchie otturate ma perché Circe deve ancora
arrivare.
Dobbiamo accontentarci di avere notizie di seconda
mano o ancora di più i retroscena. Massimo Franco sul “Corriere della Sera”
del 13 luglio 2017 scrive: «La metafora della “tenda” sta diventando
pericolosamente virale. Da quando Romano
Prodi, fondatore dell’Ulivo, ex premier ed ex presidente della commissione
europea, ha raccontato di avere piantato una tenda simbolica vicino al Pd,
intorno al partito di Matteo Renzi è spuntato un vero e proprio camping La
convinzione è che se dovesse prevalere la spinta a escludere le minoranze e
dunque a facilitare un altro strappo, non esisterebbe più il Pd. L’uscita di
Orlando potrebbe portare con sé quasi per inerzia quella di Franceschini e
dell’altro ministro, Graziano Delrio, finora leali alleati del segretario.
Prodi pianterebbe la sua “tenda” sempre più lontano dal Pd. L’incontro di ieri
a Bologna con Pisapia e Orlando può essere visto come una conferma.
La somma di
questi corpo a corpo non promette riconciliazioni, semmai strappi progressivi.
Ma l’esito prevedibile è che alla fine non ci sarebbero più il partito, opposto
agli scissionisti entrati nell’orbita della nebulosa di Pisapia: ci sarebbe la
metamorfosi renziana di ciò che resta del Pd, e dall’altra parte un nuovo
Ulivo.
Il “camping”
diventerebbe un vero agglomerato con ambizioni e consistenza almeno pari a
quelli del partito d’origine. Ma Renzi, se vuole, è ancora in tempo per
impedirlo. Il problema è questo: se vuole».
Poi ci sono i fuori onda:
“Poche parole a
margine dell’intervista con Enrico Mentana su La7. Per esprimere «solidarietà a
Salvini». Anche se, precisa il segretario dem Matteo Renzi «non parlo di queste
cose, sono fatti privati». I fatti sono quelli relativi alle immagini di Elisa
Isoardi pubblicate dal settimanale “Chi”. La conduttrice tv, compagna del
leader leghista Matteo Salvini da circa un anno e mezzo, è stata fotografata
mentre bacia un altro uomo a Ibiza. Salvini e Isoardi in passato avevano anche
accennato alla possibilità di sposarsi”.
Poi ancora Massimo Franco parla di progetti e di prospettive
occulte di fine estate di un segretario che nella sua toscanità vuole
archiviare rottamandolo col nome di Matteo: «in questo caso la prospettiva, a sentire gli avversari, sarebbe di un
segretario tentato a fine estate di archiviare il Pd per lanciare in modo
esplicito il proprio partito. Una forza agile, fedele, magari intorno al 15-20
per cento ma in grado di far valere il proprio peso nelle trattative per il
governo, in un Parlamento senza maggioranza: sebbene a “Bersaglio mobile”, su
La7, Renzi abbia ribadito di volere il 40 per cento “per governare da soli”; e
dal vertice si smentisca qualunque ipotesi di scissione e si ricordi che a
ottobre si celebrerà il decennale della fondazione del Pd: un’occasione per
ricucire, non per lacerare. Il problema sarebbe solo di evitare “un congresso
permanente” e di rimettere in discussione una strategia e una leadership».
Il nostro quotidiano locale riferisce da Roma con
uno scritto di Cristina Ferulli scrivendo che:
«Guarda “Avanti”
ma sancisce una rottura definitiva del passato
il libro con cui Matteo Renzi riparte dopo la sconfitta del 4
dicembre: il leader nega che il suo arrivo a Palazzo Chigi sia avvenuto con un
“golpe” ai danni di Enrico Letta, rovesciando la responsabilità sul Pd e
ironizzando sulla “modalità broncio” del suo predecessore nel famoso passaggio
della campanella. Una versione senza sconti, condita da frecciate ad un governo
“di cui nessuno ricorda niente tranne l’aumento dell’Iva”, alla quale Letta
replica con poche ma nette parole di “disgusto” per “ennesime scomposte
provocazioni”.
Dice di aver
scritto il libro da solo, “senza ghost writer”, il leader Pd. E si vede. 235
pagine, pubblicate con Feltrinelli, in cui Renzi racconta i suoi Mille Giorni
al governo con passione, entusiasmo ma anche con quella vis polemica che i suoi
critici hanno sempre definito arroganza. Tornano dopo le dimissioni spinto
“dalle 26 mila mail” di chi gli diceva di non mollare - a loro è dedicato il libro -, il segretario
dem guarda al futuro, pur assicurando di non “avere l’ossessione” di tornare al
governo. E se la proposta all’Europa per
portare il deficit al 2,9% per 5 anni “dando 30 miliardi all’anno per la
crescita” come la “svolta” sui migranti è stata anticipata nei giorni scorsi,
l’ex premier tiene invece in serbo, per raccontare il libro nel giorno del
debutto in libreria, soprattutto le parti polemiche.
L’idea del
libro, d’altra parte, era nata proprio dalla volontà di ricostruire la scalata
a Palazzo Chigi. “L’idea che si sia trattato di una coltellata alle spalle è
una fake news –scrive Renzi – come se Letta fosse stato usurpato di chissà
quale investitura democratica o popolare” e invece “l’unica volta in cui Enrico
si era candidato alle primarie, nel 2007, aveva raccolto la miseria dell’11%
dei voti. È la “democrazia, bellezza”, è invece la versione dell’ex sindaco di
Firenze che rivendica l’affettuosità dell’“Enrico stai sereno” e dice che lo
rifarebbe. Il Pd “ha semplicemente deciso di cambiare cavallo” e Letta, a suo
avviso, invece di prendere atto decide “di fare la parte della vittima che
funziona sempre in un paese in cui si ha più simpatia per chi non ce la fa che
per chi ci prova».
Poi l’autrice, che possibilmente non ha avuto il
tempo di leggere il libro, conclude:
“Ma ci sono i momenti in cui sono i gesti a contare
più delle parole. Poi ci sarebbero le pernacchie ma quelle sono sonore e non
visive e quindi oscene.
Ma la vera
oscenità è che il libro arriva in una città bruciata solo il 14 luglio 2017,
quando tutto il clamore è scomparso, così come sono scomparsi i nostri boschi.
Il villaggio di Stepancikovo di Dostoevskij è molto
lontano ma tutto ritorna: Falaley era straordinariamente bello: il suo viso era
come quello di una graziosa contadinella, la generalessa lo coccolava e lo
viziava, trattandolo come un giocattolo prezioso”.
E poi aggiunge: è quasi una cagnetta.
Questi autori classici, sono fuori della nostra attualità
ma quasi sempre ci azzeccano e se tutto il tema del libro fosse per dire
soltanto io non sono un giocattolo o una cagnetta – ma un uomo!
Ma essere uomo è un’affermazione monca, bisogna
aggiungerci un aggettivo indispensabile: libero.
Ma nella nostra città bruciata e svuotata di ogni
contenuto anche questo aggettivo è fuori dalle righe: non abbiamo industrie,
viviamo o moriamo non interessa a nessuno, gli appalti sono portati per mano,
così tutto quello che ci circonda perfino le granite, tutti lo sanno ma nessuno
lo dice.
Qua siamo tutti rottama tori e quelli che non hanno
voluto aderire alla mattanza condannati al carcere preventivo.
Il rottamatore si occupa, bontà sua, del nostro
Franco Antonio Genovese: scusatio non petita accusatio manifesta. Letta dice un
caso di schizofrenia io dico un caso di malasanità.
Venerdì 14 luglio su “La Repubblica” Claudio Tito
scrive:
“Basta vedere
quel che sta accadendo in questi giorni. Non solo il segretario del Pd Matteo
Renzi ha scritto un libro con la apparente intenzione di menare fendenti a
destra e a manca anziché provare a ordinare le idee per una eventuale rivincita
elettorale”.
Ad una seria notazione e non rottamazione l’autore
non diventi gladiatore del babbo lasciando fuori la madre. Aspettiamo la super
rottamazione che purtroppo fa rima con rivoluzione per carestia e per sete.
Ma non voglio sembrare un profeta di cattivo augurio
e concludo con le parole dell’autore.
Nell’introduzione del libro il vate premette che si
tratta di una storia strana e conclude:
«Ai ragazzi che
incontravo da presidente del Consiglio in carica ho ripetuto più volte: “Se ce
l’ho fatta io, ce la può fare chiunque di voi”. Loro si mettevano a ridere.. Ma
io ero serio. E lo sono tuttora: se il paese più istituzionalmente gerontocratico
si pemette di dare le chiavi del palazzo per tre anni a un under 40 venuto dal
nulla significa che tutto è veramente possibile. Bisogna crederci, però, avere
l’ardire di provarci. Non lasciare che i professionisti del “si è sempre fatto
così” abbiano ancora la meglio. Tutto può cambiare, io ci credo ancora. Anzi,
dopo quello che ho visto, ci credo ancora di più.
Non ci interessa
cambiare l’immagine per gratificare il nostro ego. Noi vogliamo cambiare
l’Italia per i nostri figli.
E questa Italia
la cambieremo. Andando avanti, insieme».
Ma siamo sicuri di questa affermazione?
Lo vedremo alle prossime elezioni!
Il ponte dello Stretto di Messina al prossimo giro
lo scrittore o il demolitore?